di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 6 mag. - "Anche quando non era in prima linea, di Giulio Andreotti si diceva sempre che manovrava i fili da dietro le quinte". E' questo il primo giudizio cinese sul sette volte presidente del Consiglio italiano, scomparso oggi. Nel breve profilo tracciato dalla Xinhua, l'agenzia di stampa del Drago ricorda anche come il suo nome sia legato "all'avere portato l'Italia a diventare uno dei maggiori attori dell'economia mondiale" nei decenni passati. Non ci si ricorderà di lui come di un sinologo, anche se sicuramente ha contribuito allo sviluppo delle relazioni tra Italia e Cina, ma anche l'ex Celeste Impero ha avuto una parte, seppur piccola, nella lunga carriera del più chiacchierato esponente politico della Prima Repubblica.
1986, LA PRIMA VOLTA IN CINA CON CRAXI
Il suo primo viaggio a Pechino risale all'ottobre del 1986. Giulio Andreotti era andato nella Repubblica Popolare in viaggio di amicizia, come venne definita la missione guidata dall'allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi. Di quella trasferta rimane famosa una delle battute ironiche per cui era noto: alla domanda di un giornalista su quante persone fossero presenti sul volo di Stato, Andreotti rispose che era stato in Cina "con Bettino Craxi e suoi cari…". I "cari" di Craxi più che i congiunti erano "decine e decine tra famigliari, famigli e amici", secondo quanto scrisse all'epoca il Corriere della Sera. Lo stesso Craxi (che inizialmente non prese bene l'ironia del suo ministro degli Esteri) rispose alle critiche nel 1998, per arginare le polemiche attorno ai voli di Stato, usati, secondo alcuni, per dare "passaggi" a personaggi che nulla avessero a che vedere con la politica.
LA VISITA ALLA TOMBA DI MATTEO RICCI
Il primo viaggio nell'ex Celeste Impero fu foriero di una sorpresa per l'allora ministro degli Esteri. Durante una visita alla scuola centrale del Partito Comunista Cinese, nel quartiere di Chegongzhuang, a nord-ovest della Città Proibita, Andreotti ebbe modo di visitare la tomba di Matteo Ricci. La guida cinese che accompagnava Andreotti aveva ricordato come il gesuita fosse stato "l'unico straniero che ci abbia aiutato a comprendere la nostra terra". Prolifico autore di 39 libri, a quell'esperienza e al celebre missionario di Macerata, Giulio Andreotti dedicò poi il saggio "Un gesuita in Cina", pubblicato da Rizzoli, pubblicato nel 2001, a pochi anni dal quarto centenario della morte del celebre missionario, avvenuta nel 1610.
1991, LA SECONDA VISITA TRA LE POLEMICHE
Anche la seconda visita, nel 1991, fu animata dalle polemiche. Andreotti era allora presidente del Consiglio. Se nel primo caso fu soprattutto il Pci a criticare il divo Giulio, questa volta Andreotti fu vittima di "fuoco amico". A lamentarsi della scarsa tempestività del viaggio fu il presidente della Commissione Esteri della Camera, Flaminio Piccoli, anche egli democristiano. "Poteva andarci quindici giorni fa", disse Piccoli. Il parlamento era in quei giorni alle prese con la guerra in Jugoslavia che di lì a qualche anno si sarebbe frantumata e il caso della guerra appena al di là dei confini nazionali veniva discusso in parlamento proprio in quei giorni. A spingere sull'acceleratore per una presadi posizione decisa in quei giorni era anche il ministro degli Esteri, Giorgio Napolitano.
I RAPPORTI TRA CINA E VATICANO
Il legame di Giulio Andreotti con la Cina sembra intrecciarsi spesso con la figura di Matteo Ricci. Accadde ancora nel 2001, quando all'ex presidente del Consiglio italiano - assieme a una delegazione del Vaticano - fu proibito l'ingresso nel Paese in occasione di una conferenza internazionale sul missionario gesuita. Secondo quanto scriveva allora la Far Eastern Economic Review, ripresa dal settimanale L'Espresso, "Pechino fece sapere che Andreotti e i rappresentanti vaticani non sarebbero stati graditi". La visita venne cancellata, ma papa Giovanni Paolo II non volle darsi per vinto e in un messaggio ai leader cinesi chiedeva perdono per gli "errori" commessi dalla Chiesa nel passato. "La Chiesa cattolica -aveva scritto il Papa- non chiede alla Cina e alle sue attività politiche alcun privilegio, ma unicamente di potere riprendere il dialogo". Neanche questo, però, servì a calmare le acque con la Cina di Jiang Zemin, su cui ancora pesava il fardello della persecuzione dei membri del Falun Gong, che solo due anni prima avevano protestato di fronte ai cancelli di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, per chiedere la libertà di culto. Sarebbe stata l'ultima occasione per Giulio Andreotti, di tornare a Pechino, ma anche lui dovette arrendersi alle regole non scritte dell'Impero di Mezzo.
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