AgiChina24 vi propone la traduzione di un articolo di Taylor Washburn apparso su The Atlantic il 16 aprile, dal titolo "Come un regno antico può spiegare le relazioni attuali tra Cina e Corea" (How an Ancient Kingdom Explains Today's China-Korea Relations)
Traduzione dall'inglese a cura di Giulia Giannasi
Roma, 19 apr. - I racconti storici rappresentano il cuore dell'identità di una nazione. Per questo motivo, interpretazioni divergenti sul passato possono influenzare le relazioni internazionali. In nessun luogo questo fatto è più evidente che nell'Asia nord-orientale, dove le cosiddette "guerre storiche", insieme alla destabilizzante crescita del potere cinese, hanno contribuito a minare la sicurezza della regione.
La più nota tra queste dispute deriva dall'annessione della Corea e l'occupazione di molti territori cinesi da parte del Giappone nei decenni precedenti al 1945. Tuttavia, sebbene la discussione sull'eredità dell'imperialismo giapponese abbia occasionalmente unito Pechino, Seul e Pyongyang contro Tokyo, un altro contenzioso con radici molto più profonde e antiche ha il potenziale di mettere entrambe le Coree contro la Cina – e potrebbe anche giocare un ruolo significativo nelle relazioni sino-coreane qualora avvenisse la riunificazione delle Coree.
A chi appartiene Goguryeo?
Alla fine del Gennaio 2013, il quotidiano sud-coreano Hankyoreh riportò che un gruppo di studiosi della provincia nordorientale cinese del Jilin stava conducendo "ricerche a porte chiuse" su una stele portata alla luce di recente, un memoriale inciso sulla pietra risalente al V secolo a.C. Che interesse possono avere i lettori coreani di oggi per un artefatto del genere? "Sono state sollevate preoccupazioni," ha notato l' Hankyoreh, "che, viste le figure chiave del Northeast Project che fanno parte della ricerca, la Cina potrebbe con tutta probabilità utilizzare i risultati dello studio … per supportare la loro teoria che Gogureyo appartenga alla Cina."
Per comprendere l'importanza di questa teoria occorre fare una breve incursione nella storia pre-moderna dell'Asia nord-orientale. Per più di 600 anni, tra il I secolo a.C. e il VII secolo d.C., la gran parte della penisola coreana e la Manciuria erano sotto il dominio del regno di Goguryeo. Sebbene negli ultimi due secoli del regno si governasse a Pyongyang, le prime capitali erano a nord del fiume Yalu, che oggi demarca la parte orientale del confine tra Cina e Corea. Nel V secolo, al suo apice, il regno di Goguryeo controllava buona parte dell'attuale Corea del Sud e tutta la Corea del Nord, così come le terre contigue nella Cina nord-orientale e piccole parti dell'attuale costa russa. A causa della successiva separazione della penisola in due regni, Silla e Baekjae, gli storici moderni si riferiscono a quest'epoca come al Periodo dei Tre Regni di Corea. Questa tripartizione permarrà fino al VI secolo, quando il regno sud-orientale di Silla, essendosi assicurato il sostegno della dinastia cinese Tang, annesse i rivali.
Mettere in relazione le nazioni moderne con i loro antichi predecessori può essere un affare complicato, ma gli storici sono generalmente concordi nel definire Goguryeo uno Stato proto-coreano. Nel 2002, tuttavia, questa convinzione generalmente condivisa venne attaccata, quando l'Accademia Cinese delle Scienze Sociali (CASS), think tank governativo, propose una diversa lettura della storia di Goguryeo sotto gli auspici del "Northeast Project", che intendeva riscrivere la storia di Corea e Manciuria. Il progetto giunse alla conclusione che Goguryeo non era mai stato uno Stato autonomo, bensì un vassallo del Regno di Mezzo, "un governo regionale fondato da un gruppo etnico," che rientra nella "storia cinese locale".
Non è chiaro fino a che punto il lavoro del CASS fosse diretto da importanti figure del governo centrale, ma le azioni dei funzionari cinesi negli anni precedenti fanno pensare ad una collusione. Nel 2003 e nel 2004, mentre il progetto era ancora in corso, Pechino fece richiesta all'UNESCO per registrare le tombe nella Manciuria cinese risalenti al regno di Goguryeo come patrimonio dell'umanità, e il ministro degli Esteri cinese ripulì consistentemente il suo sito web dai riferimenti alla storia pre-moderna della Corea.
Nella Corea del Sud, il revisionismo cinese su Goguryeo ebbe eco esplosiva. La stampa, che diede ampio spazio alla notizia, dipinse il Northeast Project come una negazione dell'indipendenza etnico-culturale della Corea dalla Cina. Per contrastare la versione cinese, il governo sud-coreano fondò nel 2004 la sua propria Fondazione di Ricerca su Goguryeo, e chiamò l'ambasciatore cinese a Seoul per protestare contro le modifiche sul sito del ministero degli Esteri. La disputa innescò una quasi istantanea inversione nell'attitudine positiva della Corea del Sud nei confronti della Cina, che risaliva al 1992, anno in cui vennero stabilite le relazioni diplomatiche. Negli anni seguenti il Periodo dei Tre Regni di Corea fornì gli spunti per numerosi telefilm coreani. Tra questi anche la serie famosa a livello internazionale "Jumong", che romanza i primi anni del Goguryeo e in cui il monarca fondatore, Tongmyong, viene immaginato come un oppositore della dinastia Han.
Sebbene sia difficile quantificare gli effetti della questione su Pyongyang, il regime nord-coreano – che richiese lo status di patrimonio dell'umanità all'UNESCO per le sue tombe di Goguryeo nel 2001 – ha incorporato i riferimenti a Goguryeo nel proprio culto della personalità. L'antico regno sembra aver esercitato un certo fascino soprattutto su Kim Jong–il. I media occidentali si sono presi gioco della Corea del Nord quando dichiarò di aver scoperto un'antica "tana di unicorno" alla fine del 2012, ma l'importanza dell'affermazione è sfuggita ai più: Pyongyang si riferiva infatti ad un kirin, il mitico destriero–chimera del fondatore di Goguryeo Tongmyong.
Prima della notizia di quest'inverno delle ricerche cinesi sulla stele del Jiling, la disputa su Goguryeo era rimasta dormiente fino al 2004, anno in cui i diplomatici cinesi, per sedare la controversia crescente, promisero a Seoul che il resoconto revisionista del CASS non sarebbe finito nei libri di scuola cinesi. Nonostante ciò, simili battibecchi su storia e cultura hanno continuato ad intorbidire le relazioni sino-coreane negli anni seguenti. Nel 2011, ad esempio, i sudcoreani si dissero oltraggiati quando Pechino incluse "Arirang", melodia folk coreana per antonomasia, in una lista ufficiale di patrimoni culturali cinesi, presumibilmente per celebrare il contributo artistico dalla minoranza etnica coreana in Cina. La scorsa estate Seoul manifestò di nuovo formalmente il risentimento verso Pechino, quando alcuni archeologi cinesi affermarono di aver scoperto che la muraglia cinese era in origine il doppio della lunghezza stimata finora e che si estendeva quasi fino ai confini coreani.
Considerato il danno che queste dispute hanno inflitto alle relazioni sino-coreane, ci sarebbe da chiedersi perché alcuni elementi nella leadership cinese abbiano permesso o perfino incoraggiato l'emergere di questo revisionismo nazionalista. Il banale sciovinismo gioca presumibilmente un ruolo, ma la risposta potrebbe anche trovarsi nel persistente senso di vulnerabilità strategica della Cina. Questa insicurezza si basa su alcuni contemporanei rischi strategici, ma affonda le sue radici nel "secolo di umiliazioni" che seguì l'imbarazzante sconfitta della dinastia Qing nella Prima Guerra dell'Oppio – un'epoca in cui la Cina dovette cedere la sua dominazione di lunga data sulla penisola coreana al Giappone e, in parte, agli Stati Uniti.
Una particolare fonte di ansietà per la Cina è la possibilità che i coreani possano un giorno cercare di annettere alcuni territori di confine. Fantasie su una "Corea più grande" comprendenti un grande varco in Manciuria sono diffuse solo in alcune frange nazionaliste, ma molti sudcoreani contestano la validità dell'accordo del 1962 tra Pyongyang e Pechino che conferiva alla Cina la sovranità su gran parte del Monte Baekdu, un passo che riveste un ruolo importante nella mitologia coreana.
Rimpiangono anche la perdita di Gando, terra paludosa che la dinastia Qing cedette all'Impero giapponese nel 1909. Se la penisola venisse riunificata, queste aspirazioni irredentiste potrebbero avere maggior seguito. Ciononostante, è improbabile che il controllo della Cina sui propri confini possa subire delle reali minacce: la minoranza etnica coreana nel nord-est della Cina non è mai stata irrequieta, e in ogni caso è numericamente ampiamente superata dai vicini cinesi Han.
Se invasione e secessione sono improbabili, non tutte le paure della Cina riguardo la Corea sono però infondate. Una questione molto più urgente è rappresentata dall'instabilità che porterebbe il fallimento della Corea del Nord. Se il regime di Pyongyang cadesse, Goguryeo potrebbe influenzare i calcoli della Cina se intervenire o meno. Così come il ruolo della Francia come potenza coloniale nel Nord Africa condizionò gli elettori francesi a supportare il recente intervento in Mali, l'enfasi sul ruolo storico della Cina in Corea potrebbe rendere più semplice a Pechino vendere ad un pubblico scettico un eventuale intervento nella penisola, qualora una spedizione di questo tipo – per quanto sgradita ai leader cinesi – sia giudicata un male necessario.
Gli osservatori cinesi respingono l'ipotesi che Pechino abbia mire sulla Corea del Nord, sottolineando i rischi e i costi che comporterebbe un'occupazione. Se hanno ragione, il fattore più significativo che spiegherebbe l'assimilazione di Goguryeo sostenuta dal CASS risiederebbe più di duemila miglia in là, nel lontano occidente cinese. Pechino si preoccupa di due movimenti indipendentisti molto attivi – uno in Tibet, e l'altro nella terra natia degli Uiguri turchi, nel Xinjiang sudoccidentale. Governando uno Stato così vasto e multietnico, Pechino ha abbracciato l'idea moderna di zhonghua mingzu, o "nazionalità cinesi", il concetto che l'identità cinese trascenda le divisioni etniche e culturali, comprendendo popolazioni anche al di fuori della terra natia degli Han da lungo tempo influenzate dalla civiltà sinica.
Consapevole che ogni obiezione a questa teoria potrebbe far crollare l'intero sistema, Pechino considera le sue minoranze etniche sullo stesso piano. Per questo, il Northeast Project del CASS fu abbinato dal Southwest e Northwest Project, posizionando anche Tibet e Xingjiang all'interno della "storia cinese locale", e le "scoperte" sulla Grande Muraglia vicino alla Corea sono state accompagnate da ritrovamenti di questo tipo anche in Xinjiang. Dalla prospettiva di Pechino, il "separatismo" mette in pericolo non solo l' integrità territoriale cinese ma, probabilmente, anche la stabilità dello stesso regime. Come ha osservato il sinologo David Shambaugh, i leader del Partito Comunista sono "ossessionati" dalla disgregazione dell'Unione Sovietica – un processo affrettato, come sono certamente consapevoli, dall'emergere di movimenti etnici nazionalisti.
Qualunque istinto difensivo possa aver ispirato il revisionismo cinese su Goguryeo, gli sforzi di minimizzare l'indipendenza della civiltà coreana non possono che apparire minacciosi dall'altra parte del Mar Giallo. In un sondaggio del 2012 quasi tre quarti dei sudcoreani dichiaravano di percepire la Cina come una minaccia militare. Sebbene parte di queste paure derivino indubbiamente dall' attuale appoggio di Pechino a Pyongyang, riflettono anche una più profonda paura che una Cina più potente potrebbe tentare di far rivivere elementi dell'ordine regionale sinocentrico che prevaleva in Asia prima dell'arrivo degli occidentali e dell'ascesa del Giappone Meiji, durante il quali i regnanti coreani dovevano pagare i tributi ai Qing manciù.
Se le ricerche cinesi sulla stele di Jiling continuano a far notizia in Corea, questo disagio verrà sicuramente esacerbato. Quello che rimane da verificare è se Pechino, tenendo a mente i suoi imperativi sulla sicurezza, lo considererà un prezzo che vale la pena pagare. Per il momento, almeno, i fantasmi di Goguryeo possono riposare in pace. Ma la nota affermazione di William Faulkner è vera in Manciuria come in Mississippi: "Il passato non è mai morto. Non è nemmeno passato."
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