SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Il Governo l'aveva promesso. E sta mantenendo i suoi impegni: in Cina i salari continuano ad aumentare. Visto sotto un'altra prospettiva, quella delle aziende, ciò significa che il costo del lavoro continua a lievitare. Con tutto ciò che ne consegue.
L'ultimo, robusto ritocco all'insù è di qualche settimana fa: il ministero del Lavoro cinese ha disposto un adeguamento al rialzo dei salari minimi in 23 province e in diverse aree e città industriali del Paese. Dal 1° gennaio 2013, le aziende operanti in queste zone hanno dovuto aumentare gli stipendi base di percentuali comprese tra il 10 e il 15 per cento.
Qualche esempio. A Pechino i tabellari minimi mensili sono cresciuti da 1.260 yuan del 2012 a 1.400 yuan; nel Zhejiang da 1.310 a 1.470 yuan; nello Shaanxi (l'altra provincia, oltre a Pechino, ad aver alzato i salari per il secondo anno consecutivo) da 1.000 a 1.150 yuan. Al termine del maxi adeguamento nazionale, la città di Shenzhen continuerà a corrispondere gli stipendi minimi più elevati del Paese (1.500 yuan). Pechino, invece, continuerà a essere l'area che paga i salari orari più alti (15,2 yuan).
Secondo i regolamenti introdotti dal Governo cinese nel 2008 con il duplice scopo di riequilibrare i livelli di reddito all'interno del Paese e di stimolare i consumi privati anche nelle aree più povere, le province e le grandi metropoli industriali devono adeguare i loro salari minimi almeno una volta ogni due anni. Grazie a questo provvedimento, nell'ultimo lustro i minimi salariali cinesi hanno registrato un incremento medio a livello nazionale del 12,6% annuo. Non è un aumento da poco. Soprattutto per le aziende manifatturiere ad alta intensità di manodopera che operano nei grandi distretti industriali cinesi.
Quale sarà l'impatto dell'ultimo adeguamento salariale deciso da Pechino sull'operatività e sulla profittabilità delle aziende straniere che lavorano oltre la Grande Muraglia? «Le conseguenze in termini di costi saranno limitate perché le società straniere pagano già stipendi minimi assai superiori a quelli fissati per legge», spiega Alberto Vettoretti, direttore generale di Dezan Shira & Associates. La crescente scarsità di manodopera (soprattutto di tipo specializzato) e la necessità di fidelizzare la forza lavoro, infatti, negli ultimi anni ha indotto gran parte delle aziende straniere a corrispondere robusti incentivi salariali per trattenere gli operai nelle proprie fabbriche.
«Su una sessantina di dipendenti, abbiamo dovuto adeguare ai nuovi minimi di legge giusto lo stipendio di un paio di neoassunti», dice Maurizio Galante, amministratore delegato di Omp Mectron, un'azienda meccanica di Shanghai, città dove nell'ultimo decennio i salari minimi sono quadruplicati. Tuttavia, l'aumento generalizzato degli stipendi più bassi si ripercuoterà sicuramente sulle aziende straniere con produzioni a basso valore aggiunto che impiegano molta manodopera. È il caso tipico delle società taiwanesi e di Hong Kong, le prime arrivate in Cina oltre vent'anni fa per sfruttare il basso costo del lavoro, nei cui ranghi a tutt'oggi sono a libro paga eserciti di operai che percepiscono il salario minimo.
Probabilmente, è questa la ragione per cui una grande area industriale come Donguann - la città del Guangdong che ospita importanti distretti labour intensive come quelli dell'occhialeria, della plastica, dei pellami, delle piastrelle - quest'anno non ha varato adeguamenti dei minimi salariali (pari a 1.100 yuan). In quel caso, infatti, l'intera area avrebbe rischiato una fuga di massa delle migliaia di aziende che vi lavorano con margini risicati all'osso, e per le quali un incremento del 10% del costo del lavoro sarebbe potuto risultare fatale.
Al pari di altre questioni cruciali per il futuro del Paese e per la sostenibilità della sua crescita economica, quindi, anche sul fronte dell'occupazione oggi la Cina è costretta a cercare un difficile equilibrio tra forze contrapposte. Da un lato, la nuova leadership guidata da Xi Jinping dovrà continuare a ridistribuire la ricchezza all'interno di una nazione sconfinata, sempre più divisa socialmente tra chi ha e chi non ha: il Nord e il Sud, l'Est e l'Ovest, le città e le campagne. Dall'altro, la nomenklatura emergente dovrà cercare di mantenere la competitività del made in China che, a trent'anni dal decollo industriale voluto da Deng Xiaoping, dipende ancora in larga misura dal costo del lavoro.
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A CONFRONTO
L'escalation
Negli ultimi cinque anni i salari minimi cinesi hanno registrato un incremento medio a livello nazionale del 12,6% annuo: un aumento che riguarda la più grande potenza manifatturiera mondiale, che dopo aver superato l'America ricopre un quinto della produzione mondiale. Si avvicina al tramonto l'epoca delle fabbriche a buon mercato: il costo del lavoro è il principale responsabile di un aumento a cui contribuiscono anche prezzo della terra, costi ambientali e di sicurezza. Secondo la società di consulenza AlixPartners, se i salari dovessero crescere del 30% l'anno, nel 2015 produrre in Cina costerebbe quanto farlo nell'America del Nord
L'ADEGUAMENTO
Dal 1° gennaio il ministero del Lavoro cinese ha disposto un adeguamento al rialzo dei salari minimi nelle province del Paese. Le aziende operanti in queste zone dovranno aumentare gli stipendi base di percentuali comprese tra il 10 e il 15%. Poiché nelle diverse regioni della Cina gli standard di vita sono molto diversi, non esiste un salario minimo che copra l'intera nazione. Per questo il costo del lavoro in Cina non è direttamente comparabile a quelli di altri Paesi
12,6%
L'incremento medio nazionale
È la percentuale a cui sono stati adeguati i minimi salariali cinesi negli ultimi cinque anni
LA COSTA E L'INTERNO
L'aumento dei costi di produzione inizia a incidere nelle regioni costiere del Paese, là dove sono partite le riforme economiche e dove sono nati i primi grandi distretti industriali. Man mano che sale il costo del lavoro, le aziende manifatturiere cercano di localizzarsi all'interno: secondo un sondaggio di cui riferisce il Wall Street Journal, il 13% delle imprese di Hong Kong sta prendendo in considerazione l'ipotesi di spostarsi dalla costa all'interno
10%
Nuove mete
Le imprese di Hong Kong intenzionate a spostarsi verso altri Paesi del Sud-Est asiatico
ECCEZIONI
Se Pechino continuerà a essere l'area che paga i salari orari più alti, e Shenzhen la città con i salari minimi più elevati, nella grande zona industriale di Donguann nel Guangdong non ci saranno adeguamenti: l'area - che ospita distretti labour intensive come occhialeria o piastrelle - non può rischiare una fuga in massa delle migliaia di aziende che lavorano con margini troppo stretti per poter sopportare un aumento del 10% del costo del lavoro
1.400
I salari nella capitale
Nel 2012 a Pechino i salari minimi mensili sono cresciuti da 1.260 a 1.400 yuan
L'IMPATTO
Per le aziende straniere presenti in Cina l'ultimo adeguamento salariale voluto dal Governo di Pechino potrebbe non avere un impatto sensibile: per molte di loro gli stipendi minimi pagati sono già superiori a quelli fissati per legge. Più decise le ripercussioni sulle aziende straniere con produzioni a basso valore aggiunto che impiegano molta manodopera, tra loro le prime ad arrivare in Cina da Taiwan e Hong Kong per sfruttare il basso costo del lavoro
- 3,7%
Investimenti in calo
È la riduzione degli investimenti stranieri diretti in Cina registrata nel 2012, a 111,72 miliardi di $
18/01/2013