VALDUGGIA (VC). Dal nostro inviato
Il muletto carico di materiale esce dal numero civico otto, percorre pochi metri, entra al civico dieci e scarica. Sono le valvole "a chilometri zero" di Valduggia, dove stamperie, fonderie e minuterie metalliche vivono gomito a gomito arrampicate ai piedi delle colline che separano la Valsesia dal lago d'Orta, strette tra il letto del torrente Strona e le chiese affrescate del trecento che si snodano lungo il paese, poco più di duemila anime.
Logistica e logica vorrebbero che questo per la manifattura fosse un luogo tabù, più adatto a scampagnate e turismo che non all'insediamento di siti produttivi. E invece no, a prevalere per ora sono la storia e la tradizione, avviata nel medioevo con la fusione in bronzo delle campane e proseguita poi con la nascita di uno dei principali distretti italiani delle valvole. «Certo, 20 anni fa si giocava all'attacco – spiega l'imprenditore Savino Rizzio – oggi invece c'è solo difesa e contropiede». Che tuttavia funziona, come testimonia proprio la Vir di Rizzio, 12,5 milioni di ricavi nel 1991, oltre 30 vent'anni dopo, il "colosso" del territorio.
Il caso Vir non è isolato. Chi ha resistito in media è cresciuto, anche se la globalizzazione non è stata del tutto indolore. Nel 1992 nell'area si fatturavano 180 milioni, oggi saliti a 400, dunque al di sopra dell'inflazione di periodo. Il settore era forte di un centinaio di aziende, rimaste ancora 106 dieci anni dopo, ora scese a 94, di cui 35 nel solo comune di Valduggia. A chiudere sono stati soprattutto i piccoli subfornitori, stretti tra la concorrenza dei paesi low-cost, i rincari delle materie prime, le difficoltà nel trovare un adeguato ricambio generazionale. «Mio figlio adesso lavora negli Stati Uniti – spiega l'imprenditore Giorgio Conti, 6 milioni di ricavi e 36 addetti –, i giovani in genere vanno via: chi verrebbe qui a vivere? Si guardi intorno».
Lo facciamo. Niente teatri, cinema o discoteche infatti. E tuttavia la gente può andare al lavoro a piedi o in bicicletta, ogni giorno torna a casa per pranzo, per vedere se l'azienda ha riaperto i cancelli basta gettare uno sguardo fuori dalla finestra: quando si parla di coesione sociale varrebbe la pena fare un salto qui e prendere appunti. «In effetti lavorare è una favola – aggiunge Conti –, forse negli anni ci siamo un pò impoveriti ma rispetto a quelli che avevano solo il tessile è andata bene». Il monito del tessile che fu è ben visibile lungo la statale, con l'ex stabilimento Ragno inutilizzato da oltre 20 anni, impossibile trovare un impiego produttivo alternativo. «Nuove aziende nate in questi anni? Francamente non ne ricordo – chiarisce Rizzio –, prima i dipendenti imparavano il mestiere e si mettevano in proprio, ora servono troppi soldi e il mercato è sempre più difficile». Rizzio ci mostra alcuni numeri vecchi di dieci anni di Business Week, Financial Times e Wall Street Journal, dove Valduggia era un caso da studiare, un esempio del distretto flessibile capace di competere anche con aziende di ridotte dimensioni, senza nessun campione globale.
A vent'anni di distanza la filiera resiste, anche se cambia pelle e soprattutto lingua. «Ho assunto un ucraino – spiega Enrico Rigamonti, titolare delle omonime officine, 55 addetti e 15 milioni di ricavi, più che raddoppiati rispetto al '92 – perché per noi il mercato russo sta diventando sempre più importante». Per lui, come per tutti i suoi colleghi, piazzare ordini oltreconfine non è più un'opzione ma una necessità di sopravvivenza. Così come sempre più rilevante è fornire prodotti ad-hoc, smarcandosi dalle grandi serie e dagli standard.
Esattamente 20 anni fa Rigamonti spiegava al Sole 24 Ore che «il miglior prodotto è il prezzo» ma oggi non è più così. «Conta la qualità – chiarisce – perché con l'arrivo dei cinesi la competizione sui listini è perdente in partenza. Qualità e flessibilità, che ci consentono di produrre centinaia di prodotti diversi, ciascuno con decine di varianti».
Flessibilità cruciale per Rigamonti, come per l'intero distretto. «Se guardo indietro a questi 20 anni – aggiunge Conti – vedo una rivoluzione globale: prima le produzioni speciali valevano per noi il 30% del fatturato, ora la quota è quasi triplicata».
Entriamo nei capannoni, dove le macchine a controllo numerico sfornano piccoli lotti, possono essere riattrezzate in tempi ridotti, possono gestire le centinaia di varianti che ogni committente richiede per dimensioni, peso, tolleranze, materiali, inclinazione delle componenti. Flessibilità produttiva che si somma a quella logistica, con la rete di fornitori entro un raggio di pochi chilometri, per qualcuno anche meno. «La mia fonderia è lì – indica Rizzio guardando fuori dalla finestra – mentre la stamperia è qui a fianco, per mandarci la merce non servono camion, basta un muletto».
Di furgoni e camion in realtà sulle strade se ne vedono, ma anche in questo caso si tratta di sinergie di prossimità, con le minuterie metalliche di Borgo Sesia o i nichelatori di Gozzano che fanno il "giro" dei clienti per rifornirli di materiali e componenti. «Un piccolo mondo che resiste – osserva Rigamonti – e secondo me tra 20 anni sarà ancora vivo».
Se il fornitore è dietro l'angolo, non altrettanto si può dire per il cliente, ormai disseminato lungo l'intero pianeta. «In passato esportare significava andare in Francia o Germania – aggiunge Rigamonti – mentre oggi siamo costretti ad essere ovunque. Ogni tanto chiamo qualcuno dei miei e scopro che è dall'altra parte del mondo, per una fiera o per cercare ordini».
Anche l'evoluzione di Vir, 97% di export, una filiale negli Stati Uniti e un impianto in Cina, testimonia il cambiamento in atto e la necessità di avere le spalle un poco più larghe, con una maggiore attenzione all'innovazione e alla crescita sui mercati internazionali. «Prima in fiera si andava solo a Milano – spiega Rizzio – ora in Indonesia, Russia, Cina. Il futuro? Per chi non inventa qualcosa sarà dura, al declino si sfugge solo con l'innovazione e chi non riesce a farlo alla fine è perdente».
Lo ha fatto – per esempio – Giovanni Maria Mazzola, discendente di una storica famiglia di fonditori di campane in bronzo, che negli anni '70 ha deciso di produrre sfere di ottone ad altissima precisione. Poi, scoprendo nel tempo che le sfere non bastavano per sopravvivere, ha diversificato in componenti per rubinetteria e per doccia. «In 20 anni abbiamo raddoppiato fatturato e dipendenti – spiega Mazzola – e quest'anno assumeremo qualcuno in produzione. Certo, i tempi del boom sono passati».
Allargando lo sguardo ai comuni limitrofi si scopre un tessuto produttivo ancora vivo, in grado di mantenere numeri robusti nonostante l'arrivo dei cinesi sui mercati mondiali. E oltre le colline, verso il lago d'Orta, resistono e crescono anche i "cugini" novaresi, in genere di dimensioni maggiori, come Caleffi, Cimberio, Giacomini e Pettinaroli, oppure i tanti produttori di rubinetti, nati e sviluppatisi in simbiosi con le valvole, sfruttando l'ampia filiera meccanica e di lavorazione dei metalli: distretto che fattura 2,4 miliardi con un export medio che supera il 50%, 17mila addetti sparsi in meno di 50 chilometri quadrati.
Sulla strada per il Lago d'Orta, a pochi chilometri da Valduggia, spicca lo stabilimento di Paini. Dopo due anni di "test", Ikea gli ha affidato una fornitura globale di rubinetti, cancellando i precedenti accordi con la Cina. Piccolo segnale, che dimostra però come battere Pechino sia possibile, anche producendo qui.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Valduggia resiste grazie alla filiera locale, alla flessibilità e alla forte spinta dell'export. Dimensioni e produttività i limiti.
IL GIUDIZIO
PUNTI DI FORZA
L'export rappresenta per quasi tutte le aziende del territorio la parte principale dei ricavi, in alcuni casi supera il 90% del fatturato. Rispetto a 20 anni fa è cresciuta la quota nei mercati extraeuropei. L'intero distretto piemontese ha esportato nel 2011 1,2 miliardi di euro nonostante la crescente concorrenza in arrivo dai produttori cinesi. ALTA
2 ATTRATTIVITÀ
Il territorio resta vitale per la forza della filiera, con le principali forniture, ad eccezione dell'ottone, provenienti da un'area di pochi chilometri. Fonderie, stamperie, nichelatori, minuterie metalliche e lavorazioni meccaniche sono la forza dell'area.
Questo garantisce grande flessibilità produttiva, con la possibilità di realizzare piccoli lotti in tempi rapidi. BUONA
3 INNOVAZIONE
Le aziende più robuste, come la Vir, hanno inserito macchine a controllo numerico e puntano a migliorare la flessibilità produttiva e l'efficienza interna. Altre imprese hanno diversificato in settori non tradizionali, come la nautica o il petrolio. Altri ancora hanno ampliato la gamma produttiva, producendo accessori per rubinetteria e bagno. La ricerca di nicchie è continua per sfuggire alla morsa del Far East. DISCRETA
PUNTI DI DEBOLEZZA
1 DIMENSIONI D'IMPRESAA Valduggia la dimensione media è ancora piccola e genera pochi milioni di euro di fatturato. Solo poche aziende superano quota dieci milioni. Questo limita i grandi investimenti o le innovazioni radicali, così come frena una presenza più spinta sui mercati emergenti. Le difficoltà logistiche locali e la mancanza di spazi sono comunque un limite: chi vuole espandersi deve trasferirsi in comuni vicini come Borgosesia. BASSA
2 PRODUTTIVITÀ
Il punto di forza del territorio è la flessibilità produttiva ma l'assenza di produzioni in grande serie impedisce la nascita di economie di scala. Anche in questo caso, uno dei limiti è nella ridotta dimensione aziendale e nella ricerca di produzioni di nuicchia. Diversa la situazione in provincia di Novara, dove sono numerose le aziende strutturate, con ricavi di oltre 50 milioni
di euro nelle valvole e nella rubinetteria. SCARSA
3 CAPACITÀ DI FARE RETE
Come in molti distretti, ciascuno è geloso della propria attività e della propria azienda. Sul territorio non sono stati avviati processi di integrazione o concentrazione e uno dei nodi resta il passaggio generazionale delle aziende familiari. Inoltre, il territorio non è stato in grado di tenere in vita le fonderie Mazzola, origine dell'intero distretto e potenzialmente un punto di attrazione turistica e culturale di alto valore. INSUFFICIENTE
08/08/2012