di Antonio Talia
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Pechino, 21 giu.- L'economia cinese rallenta, Pechino si prepara all'importante transizione d'autunno – quando sarà nominata la nuova leadership che guiderà la nazione per i prossimi dieci anni - e al centro del dibattito politico-economico ci sono le riforme per modernizzare e liberalizzare il sistema finanziario.
L'ultima proposta arriva dalla China Securities Regulatory Commission: l'authority finanziaria di Pechino ha pubblicato mercoledì sera una bozza di norma che, se approvata, semplificherà l'accesso dei capitali stranieri al mercato azionario cinese.
Le leggi cinesi in materia pongono diverse barriere agli investitori esteri: per accedere al mercato, i gruppi stranieri devono ottenere la licenza di Qualified Foreign Instititutional Investor (QFII), concessa solo a chi vanta già una presenza di cinque anni in Cina. Gli investitori esteri muniti di licenza devono rispettare alcune limitazioni: il pacchetto posseduto in un'azienda quotata sui listini cinesi non può superare il 20%, gli stranieri non possono partecipare al mercato interbancario.
La bozza di legge presentata da CSRC punta a incrementare la partecipazione straniera dal 20% al 30% e a ridurre da 5 a 2 anni l'anzianità necessaria a operare sul mercato. Se la nuova norma venisse approvata, inoltre, per gli investitori stranieri crollerebbe anche la muraglia eretta a tutela del sistema interbancario e i requisiti di asset obbligatori sarebbe ridotta da 5 miliardi di dollari a 500 milioni.
Secondo analisti e commentatori cinesi, la riforma ha buone possibilità di essere approvata: a suo favore giocano i precedenti – le proposte di CSRC vengono generalmente accolte dal governo - e più in generale la volontà politica che Pechino sta manifestando sul fronte delle liberalizzazioni. Secondo gli ultimi dati, pubblicati il 16 aprile scorso, la Cina ha concesso i certificati QFII a 170 investitori, e già all'inizio dell'anno il governo cinese aveva incrementato da 50 miliardi di dollari a 80 miliardi la quota concessa agli operatori muniti di licenza.
La State Administration of Foreign Exchange - l'authority di Pechino che controlla le riserve in valuta estera - ha recentemente dichiarato che adotterà procedure più veloci per allocare agli investitori stranieri quote di fondi pensione e gruppi assicurativi controllati dallo stato, due roccaforti tradizionalmente chiuse ai capitali esteri.
Quanto valore ha la proposta di legge in termini di reale apertura? Secondo Patrick Chovanec, docente di Finanza all'Università Tsinghua di Pechino, si tratta di un passo avanti, che però manca ancora del coraggio necessario alla vere liberalizzazioni: "Aumentare le quote dal 20% al 30% significa che gli investitori stranieri hanno ancora un controllo effettivo pari a zero sulle società - dice l'economista alla BBC - e per attrarre davvero un maggior numero di investitori, la Cina dovrebbe concedere loro la capacità di controllare la maggioranza o comunque effettivi diritti da azionisti di minoranza".
La mossa della CBRC si inquadra più in generale nei recenti tentativi di accelerare l'apertura del mercato cinese: dalla riforma delle banche a quella delle aziende di Stato, sembra che l'attuale amministrazione voglia spendere gli ultimi mesi in carica per aggiornare un modello che ha concesso al Dragone enormi margini di crescita, ma che sulla spinta delle crisi internazionali sta ormai mostrando diversi segnali di stanchezza. La partita politica d'autunno si gioca anche su questi temi: da un lato chi avverte la necessità di contrastare il rallentamento dell'economia con una certa dose di riforme, dall'altro i funzionari del Partito Comunista Cinese che non vogliono abbandonare il capitalismo di Stato.
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