di Antonio Talia
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Pechino, 19 giu. - Al G20 in Messico, il ruggito dei Paesi emergenti si fa sentire a tarda sera: i BRICS si presentano compatti, con un contributo che permette al Fondo Monetario Internazionale di aumentare la potenza di fuoco del firewall eretto contro la crisi del debito pubblico europeo. Con 43 miliardi di dollari la parte del leone è ovviamente destinata a Pechino: ma adesso che l'impegno di Brasile, Russia, India, Cina e del resto del blocco delle economie in ascesa è ufficiale, cosa chiedono in cambio i BRICS?
Il comunicato congiunto è esplicito: "Versiamo questi nuovi contributi in attesa di una pronta applicazione di tutti i cambiamenti annunciati nel 2010, tra cui la profonda riforma dei poteri di voto e delle quote in seno all'FMI".
La linea cinese è quella espressa da He Jianxiong, a capo del dipartimento internazionale della Banca centrale di Pechino: "Se le quote di rappresentanza non sono commisurate all'effettivo peso economico dei paesi membri, allora il meccanismo va cambiato – dice He dal vertice di Los Cabos - e visto che negli ultimi anni la crescita delle nazioni emergenti ha superato quella dei paesi più ricchi , è naturale che un pacchetto di quote dovrà passare di mano, dalle nazioni sviluppate a quelle in via di sviluppo".
La posta in gioco per ottenere l'intervento dei BRICS, insomma, è un profondo cambiamento della governance di un'istituzione creata nel 1946, che nonostante alcune modifiche non è più in grado di rappresentare il mondo del 2012. Il Fondo Monetario Internazionale deve essere in grado di gestire le crisi attuali, dicono le nazioni emergenti, ma al suo interno Paesi come Italia e Francia vantano ancora più voti di India e Brasile.
La quota di rappresentanza detenuta da un paese si basa su fattori come il Prodotto Interno Lordo, le riserve in valuta estera e le proiezioni sulla capacità di crescita. La riforma approvata il 15 dicembre 2010 dovrebbe entrare in vigore nel gennaio 2013. Tra i vari cambiamenti previsti, la Cina scavalcherà Germania, Francia e Regno Unito, diventando il terzo stato per quota di voti e di rappresentanza, superato solo da Usa e Giappone. Anche Brasile, India e Russia scaleranno la classifica, piazzandosi tra le prime dieci nazioni per importanza, e lasciando indietro Italia e Francia.
Per i Paesi emergenti, maggiori quote di rappresentanza e un incremento dei voti in seno all'FMI significano uno spazio di manovra più ampio per influenzare le decisioni dell'organizzazione e svecchiare la prassi inaugurata nel 1946, che ha quasi sistematicamente visto un europeo alla guida del Fondo Monetario Internazionale e uno statunitense alla presidenza della Banca Mondiale.
Il blocco riunito attorno ai BRICS ha manifestato più volte la sua frustrazione per il ritardo della riforma del 2010: "In Cina abbiamo ancora centinaia di milioni di persone sotto la soglia di povertà- dice He Jianxiong- e dobbiamo ancora convincere l'opinione pubblica che il soccorso prestato alle nazioni europee sia una buona idea". Le economie emergenti hanno sottolineato che le quote decise al vertice G20 di Los Cabos saranno impiegate solo dopo l'utilizzo dei fondi già esistenti.
"Ma le somme prestate all'FMI sono un investimento e un utile strumento per gestire le nostre riserve in valuta estera. Si tratta di una buona mossa in termini di sicurezza e liquidità" ha concluso il funzionario della Banca centrale di Pechino. Dopo il vertice G20 in Messico, il giorno in cui un cinese guiderà il Fondo Monetario Internazionale o la Banca Mondiale è sempre più vicino.
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