SHANGHAI. Dal nostro inviato
Il maxi parallelepipedo nero con le scritte Gucci in oro e la vista sulla Pearl Tower e i grattacieli di Pudong è illuminato da potenti fari mentre la muraglia di fotografi attende Li Bing Bing, la cantante e attrice cinese neotestimonial del marchio fiorentino sui mercati asiatici, una delle celebrities locali più impegnate nel sociale. Anche per questo l'azienda della "doppia G" l'ha voluta al suo fianco in occasione della prima sfilata del marchio nella Repubblica popolare: da queste parti i valori legati alla solidarietà sono una leva per attrarre i consumatori quasi quanto i contenuti di moda, alto artigianato e tradizione della Gucci. «A parte che sono valori che condividiamo al cento per cento - spiega l'ad Patrizio di Marco, 50 anni tra pochi giorni, - in questo mercato si cresce soprattutto rubando spazio ai competitor e dunque bisogna mettere in atto tutte le strategie atte a rinsaldare i rapporti personali fra brand e consumatori, utilizzando il contatto diretto con il retail». Non è un caso, allora, se alla sfilata di ieri sera della collezione autunno-inverno 2012-13 - in cui per la prima volta il direttore creativo Frida Giannini ha aggiunto alle top model in versione dark ladies anche dieci look maschili - la metà dei 550 ospiti saranno clienti finali. «Da ormai due anni - aggiunge di Marco - stiamo invitando i clienti Vip alla sfilata di Milano e il giorno successivo in showroom, in modo che possano fare subito gli ordini di prodotti su misura. Poi, ovviamente, li coccoliamo con visite private agli Uffizi o al Cenacolo vinciano e con "pensieri" che non sono nostri prodotti in senso stretto».
Insomma, si tratta di operazioni che un tempo erano appannaggio dei produttori di alta gioielleria o di orologi per cui la lista d'attesa può durare anni, ma che ora sono necessarie proprio a causa della forte competizione sul mercato fra i brand che superano i 2-3 miliardi di euro di fatturato e che sono intenzionati ad accaparrarsi la voglia di status symbol che c'è da queste parti, con un vero e proprio boom di vendite. «Ci sono nella Repubblica popolare 500 milioni di utilizzatori quotidiani di Internet - puntualizza il Ceo - e questo fa sì che conoscano tutto di un marchio e della sua storia: da quando abbiamo inaugurato il Gucci Museo di Firenze, il 60% dei tre modelli di borse iconiche vendute solo lì, Bamboo, Jackie e Stir, è stato acquistato da cinesi». Ma quanto vale il business di quest'area geografica sul conto economico della "doppia G"? Sui 3,143 miliardi di fatturato 2011 la Grande Cina, che include anche Hong Kong, Taiwan e Macao, pesa per il 22,6%, cioè per 710 milioni. La fetta più importante, se si esclude l'Europa occidentale nel suo complesso (28% del totale). «In realtà - nota di Marco - come primo singolo mercato è un testa a testa fra Cina continentale e Usa, che nel 2011 pesavano per 566 milioni e sui quali noi confidiamo molto, tanto che ci stiamo riappropriando della catena wholesale. Comunque nella Repubblica popolare siamo passati in otto anni da quattro a 46 negozi e altri 10 saranno inaugurati quest'anno, anche rilocalizzandone di vecchi che ora sono nelle location sbagliate. I problemi di eccessivo turnover del personale, 1.700 persone di cui ben 1.500 lavorano nei negozi, sono stati affrontati e risolti con corsi di formazione e percorsi di carriera. E la redditività arriva sempre in 18 mesi».
Segnali di rallentamento nella passione dei cinesi per Gucci non sembrano evidenziarsi, nonostante la correzione ufficiale del Pil e i timori di scoppio di una bolla immobiliare. Semmai, può preoccupare il nodo dei prezzi, peraltro gravati da un'imposta sul lusso in diverse merceologie che i cinesi del Continente cercano di dribblare andando a fare shopping, soprattutto di orologi, a Hong Kong. «Sembra - dice ancora l'ad - che ci sia un dibattito in corso fra i ministeri sull'opportunità di alleggerire o addirittura eliminare l'imposta ma, in ogni caso, cerchiamo di posizionarci in un differenziale che non superi mai il 30% del prodotto in Italia. Anche se devo ammettere che in questo momento, a causa delle fluttuazioni del cambio euro- renmimbi, siamo piuttosto al 43-44%. Come i concorrenti, del resto». Ecco perchè sempre più cinesi volano in Europa con l'obiettivo, a volte anche primario, di fare shopping piuttosto che itinerari culturali. «Ormai la metà delle nostre vendite in Europa - conclude di Marco - sono fatte da turisti stranieri: quelli aspirazionali che acquistano la borsa in tessuto da 700 euro e quelli che ordinano la Bamboo in coccodrillo da 10mila. Il difficile è calibrare il mix senza depauperare il valore del marchio».
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22/04/2012