di Giuliano Boccali
Verso la fine del 1800 la diplomazia dell'Europa occidentale lo chiamava il «Grande gioco», quella russa «Torneo delle Ombre»: è la sorda guerra di spie combattuta dagli agenti segreti dei due imperi «per il controllo dell'Asia centrale e forse del Tibet». Anche oggi, le immense aree coinvolte nel conflitto – dall'Iran orientale all'Afghanistan al Tibet, dal Kashmir alla Cina – rappresentano, nei fatti e nell'immaginario degli antagonisti spesso diversamente manipolato, una delle zone più drammaticamente bellicose e contese del pianeta, teatro degli scontri violentissimi o subdoli ai quali da tempo assistiamo. Ma rappresentano anche un patrimonio incalcolabile di religioni, di lingue, di tradizioni artistiche e letterarie, straordinariamente diversificato e stratificato da millenni. Uno degli elementi di unità in quest'area affascinante e tormentata è la diffusione del buddhismo, felicemente scelta da Mario Biondi come emblema del suo recentissimo Con il Buddha di Alessandro Magno. Dall'ellenismo sull'Indo ai misteri del Tibet pubblicato da Ponte alle Grazie.
Viaggiatore intelligente, tanto in profondità preparato e ricco di memorie quanto capace di abbandonarsi alle impressioni e agli umori dell'istante, Biondi racconta e illustra nel suo libro l'itinerario compiuto: l'inizio, come si è adombrato, avviene emblematicamente ai piedi della roccia impervia di Bisotun, tra le attuali Kermanshah e Hamedan. Qui il sovrano Achemenide Dario I il Grande (522 o 521-486 a.C.) fa incidere l'iscrizione che ancora oggi esalta le sue conquiste e ringrazia il suo Dio, Ahura Mazda, per averlo sostenuto decretandone di fatto la regalità e i successi. L'avvincente percorso si snoda a risalire l'Indo fino all'alta Valle Hunza, usa a ricevere la non disinteressata visita di spie e avventurieri – il sospetto si riverbera anche attualmente sull'autore – verso «il quasi mitico Passo Khunjerab sulla cosiddetta Karakoram Highway» aperto da poco più di 25 anni. La troppo lunga attesa di Biondi, che a varcare quel valico da anni agognava, fa sbiadire (come spesso accade) le sensazione vissuta. Poi l'ingresso in Cina e la discesa su Tashkurgan.
Almeno in parte, l'itinerario successivo è quello della Via della Seta, al tempo stesso leggendaria e concreta, onirica e monetaria. Gli abbinamenti sono talora – almeno a occhi occidentali non specializzati – stupefacenti: attorniati da campi di colza che «formano un magnifico patchwork con altri campi verdissimi, di orzo», punteggiati da tende sparse «di cotone bianco con bordure e disegni blu», ecco levarsi gli uni accanto agli altri nel Gansu i minareti musulmani e gli stupa buddhisti. Più oltre, vicino Xining, il grande complesso lamaista dove, nel 1357, nacque il fondatore dei Berretti Gialli, serba tracce dell'antica leggenda dell'albero le cui foglie spuntano «con già impresse immagini del Buddha e segni mistici». Biondi raggiunge infine Lhasa a bordo della Ferrovia del Qingzang inaugurata con sei mesi di anticipo l'1 luglio 2006: 4.064 km da Beijing alla capitale del Tibet, 500 dei quali con le rotaie posate sul permafrost, il ghiaccio permanente, e il superamento del Passo Tanggula a 5.072 metri! Per motivi differenti e non necessariamente omogenei, dalla nostalgia di atmosfere immote senza tempo alle vertigini delle più avanzate tecnologie, quello di Biondi è un viaggio davvero straordinario.
1 Mario Biondi, «Con il Buddha di Alessandro Magno. Dall'Ellenismo sull'Indo ai misteri del Tibet», Ponte alle Grazie, Milano,
pagg. 320, € 16,80.
21/12/2008