Giulia Crivelli
PECHINO. Dal nostro inviato
«Non mi piace la parola lusso. O meglio: non le do il significato che le danno la maggior parte delle persone, soprattutto nel mondo della moda. Per me lusso significa fare le cose prendendosi il tempo necessario per farle bene, seguendo un progetto di lungo periodo. Anche grazie a questa strategia oggi la nostra azienda può concedersi un altro, impagabile, lusso: quello di non chiedere soldi alle banche». Il presidente Luigi Maramotti, che insieme ai fratelli Ignazio e Maria Ludovica guida il gruppo Max Mara, esordisce così nel presentare l'ultimo grande progetto dell'azienda emiliana in Cina: oggi verrà inaugurata al National Art Museum di Pechino la mostra "Coats! 55 Years of Italian Fashion", terza tappa dell'esposizione dedicata ai cappotti e alla storia di Max Mara, dopo Berlino e Tokyo. E in serata ci sarà una sfilata e una grande festa al Water Dam, al centro dell'Art District, cuore della scena artistica di Pechino. Ma non basta: ieri sera la famiglia Maramotti ha offerto una cena al Tai Miao, un tempio del XV secolo all'interno della Città proibita.
Impossibile quantificare il costo della tre giorni di celebrazioni: «Non ci piace dare numeri e non siamo obbligati a darli: è un altro grande vantaggio del non essere quotati - dice Maramotti -. Si tratta di un investimento importante, ma così è anche il mercato cinese. Abbiamo aperto il primo negozio Max Mara a Hong Kong nel 1987, oggi abbiamo 2.360 punti vendita in 90 Paesi per i diversi marchi (Max Mara, Max&Co., Sportmax, Marella, Marina Rinaldi e Penny Black, ndr) e 200 di questi si trovano nella Greater China, che comprende Repubblica Popolare, Taiwan e Hong Kong». La Cina pesa dunque per il 10% sul fatturato? «Posso rispondere che il 65% dei ricavi 2007, che sono stati 1,25 miliardi di euro (con un utile netto di 94 milioni) vengono dall'Europa, il 35% dal resto del mondo, Cina compresa. Ma questo è un Paese con enormi potenzialità».
L'ammirazione per i progressi economici del gigante asiatico lascia però in Maramotti spazio a qualche dubbio («questo è un Paese superarticolato, dove c'è tutto e il contrario di tutto») ed è forse una delle ragioni per le quali il gruppo Max Mara non ha fatto una vera delocalizzazione in Cina: «Produciamo qui una parte della maglieria Max&Co., per il resto abbiamo stabilimenti in Italia, come quello storico di Reggio Emilia, dove lavorano 250 persone, e in altri Paesi europei. Produrre di più qui significherebbe anche seguire le logiche economiche imposte dal Governo locale. E noi, da autentici liberisti, siamo allergici ai piani quinquennali».
Sotto altri aspetti, il mercato cinese è più facile di altri, come sottolinea Maria Ludovica: «Negli ultimi anni sono nati come funghi, a Pechino e in tutte le grandi città della Cina, centri commerciali e persino qualche via dello shopping. E per le taglie non è stato un problema: partiamo dalla 34 anziché dalla 38, perché le donne cinesi sono mediamente più piccole, ma la struttura fisica è molto simile a quella delle europee o delle americane. A differenza del Giappone, dove la forma delle gambe, il baricentro, diciamo così, basso, e le braccia corte ci obbligano a escludere dalle collezioni una serie di modelli».
In Cina il partner di Max Mara è GbMax, una società con sede a Hong Kong guidata da Linda Hong Lin, elegantissima signora di Shanghai che ha fatto conoscere al mercato cinese anche Kiton, marchio di abbigliamento maschile made in Italy di fascia alta.
Ma, oltre all'eccesso di modernizzazione, c'è un altro aspetto della Cina che disturba Luigi Maramotti, ed è il fenomeno dei falsi. «Non è un problema solo cinese, ovviamente. In Europa ci sono grandi gruppi il cui modello di business è: non investire in ricerca e sviluppo del prodotto, aspettare di vedere il frutto degli sforzi creativi degli altri e poi copiarli. Ma la contraffazione vera e propria, che spesso parte dalla Cina, per noi è un danno, da cui è molto difficile difendersi. Per mettere a punto il nostro piumino "Cube" ci abbiamo messo due anni, con un fornitore di tessuti abbiamo brevettato un rivestimento high tech impalpabile e abbiamo scelto le oche della Siberia, le cui piume sono le più leggere al mondo. Prima o poi qualcuno ce lo copierà, anche se male. E noi non potremo, di fatto, farci nulla. Comunque continueremo a investire in ricerca, per restare sempre un passo avanti: in fondo è la parte più divertente, un ping pong creativo tra l'ufficio stile e i nostri tecnici di produzione che ci fa trovare soluzioni sempre più innovative. Per il Cube abbiamo inventato una cerniera particolare, ma non è stato semplice, tanto che mi è venuta voglia di scrivere un libricino, da regalare a chi compra il Cube. Ho già il titolo, Lo Zen e l'arte di allacciare il piumino».
giulia.crivelli@ilsole24ore.com
18/10/2008