di Luca Veronese
Michael da 16 anni vive in acqua: stretching, potenziamento muscolare, e poi vasche. Cinque ore di allenamento al giorno, tutti i giorni, fino alle 8 medaglie d'oro di Pechino. Che valgono gloria e un premio da un milione di dollari dallo sponsor, oltre alle decine di contratti che gli stanno piovendo addosso.
Edmund da più di mezzo secolo mette assieme micro e macro, bassa inflazione e piena occupazione. Pagine e pagine di numeri e analisi al giorno, fino al Nobel per l'Economia del 2006: fama e imperitura memoria, oltre a un riconoscimento di 1,37 milioni di dollari dell'Accademia di Svezia.
Entrambi Phelps, uno di Baltimora, l'altro di Chicago: insieme nel primato. Michael, 23 anni (disegno a sinistra), il più grande nuotatore di tutti i tempi, l'atleta che ha vinto di più nella storia delle Olimpiadi. Edmund, 75 anni (a destra), il capostipite dei neokeynesiani che di nuoto non sa nulla.
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Michael Phelps capisce presto di essere un predestinato. A sette anni comincia a nuotare, trascinato in piscina perché sfoghi nello sport, senza fare danni, la sua voglia di muoversi: i medici a scuola lo bollano come bambino affetto da Adhd, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività. E la madre sceglie per lui ed è la sua fortuna: niente medicine, nessun calmante, ma l'acqua nella quale tuffarsi e nella quale, a forza di bracciate, consumare tutta l'energia che ha in corpo. A dieci anni stabilisce il suo primo record del mondo, di categoria. A quindici partecipa alle Olimpiadi di Sydney; quattro anni dopo ad Atene, nel 2004, conquista sei ori e due bronzi. Il resto – dopo 28 primati mondiali e 18 podi olimpici e 20 ai campionati mondiali - è storia di questi giorni: è lui l'atleta d'oro dello sport globale. Meglio di Carl Lewis, meglio del suo mito Mark Spitz.
Edmund Phelps ha atteso anni prima di vedere riconosciuta la sua attività di ricerca. Si diploma all'Amherst College nel 1955; quattro anni dopo conclude il dottorato alla Yale University. E nella stessa Yale inizia la sua carriera accademica. Entra in contatto con studiosi come James Tobin e Arthur Schelling. Passa un anno alla Rand Corporation, torna a Yale, per passare poi al Massachusetts Institute of Technology, dove insegna con Robert Solow e incontra Paul Samuelson e Franco Modigliani. In seguito si trasferisce alla University of Pennsylvania, e quindi alla Columbia University dove è ora professore associato di politica economica.
Studia e approfondisce le dinamiche della crescita economica, mette in evidenza la correlazione tra disoccupazione e inflazione: inserendo le sue idee – assieme alle aspettative su prezzi e salari – nel modello noto come la curva di Phillips.
Elabora una teoria, forse il suo contributo più originale, sul tasso naturale di disoccupazione (nel 1984 passa anche un anno sabbatico alla Banca Centrale guidata da Carlo Azeglio Ciampi). Ma deve arrivare a 73 anni perché gli venga assegnato il Nobel per l'Economia: «Per aver spiegato le relazioni tra gli effetti a breve e a lungo termine delle politiche economiche».
«Speravo di ricevere il Nobel quando avevo 60 anni, poi ho pensato che arrivasse per i 70. In seguito ho cominciato a temere di dover attendere fino agli 80», dice sorridendo.
Michael Phelps, guadagna già 5 milioni di dollari all'anno. Con la sua ottava medaglia, domenica, ha tenuto incollati alla tl 40 milioni di americani. Oltre al premio-scommessa incassato dallo sponsor tecnico Speedo, ha già accordi con Omega, Hilton e Visa. Il suo manager in questi giorni sta valutando decine di proposte, vuole trasformare le vittorie in contratti (magari cercando accordi con big come Nike e Adidas), farlo diventare il nuovo paperone dello sport: un atleta da 100 milioni di dollari all'anno come nel basket Michael Jordan o Tiger Woods nel golf. Ma lui dice: «I soldi non contano, non sono arrivato fin qui per i dollari. Vinco perché amo quello che faccio». E già parla di progetti per promuovere e sostenere lo sport e il nuoto in tutti gli Stati Uniti.
«Il mio reddito è molto lontano dai cinque milioni di dollari all'anno», dice Edmund Phelps rispondendo al telefono. Il cognome è lo stesso ma non sono parenti e anche la passione per lo sport è ben diversa. «Il nuoto non m'interessa – spiega il professore – in vita mia ho fatto sport solo al college; e poi qualche partita a tennis e golf. Non posso dire di essere uno sportivo, anche se mi sto godendo in televisione le gare di Pechino».
Nel 2006, quando riceve il Nobel, già guadagna bene e oggi tra conferenze, diritti d'autore sulle pubblicazioni e compensi accademici certo ha migliorato le sue entrate. «Ma non mi faccia dire quanto guadagno in un anno e nemmeno, per cortesia, a quanto ammonta il mio speaking fee: certo - ride – mi chiamo Phelps anch'io, ma sono un economista e gli economisti non guadagnano come i grandi nomi dello sport».
Luca Veronese
luca.veronese@ilsole24ore.com
19/08/2008