di Giuseppe Zanetto *
Il corpo a corpo è l'azione degli dei e dell'eroe. Ritorna l'eco del mito quando in pedana salgono gli atleti della greco-romana. E la vittoria di Andrea Minguzzi induce a ripensare al "Lottatore" del museo archeologico di Napoli, a quello del Canova o alle scene che scorrono sul frontone del Partenone. La specialità moderna entra nel programma olimpico come archetipo dell'agonismo perché in essa affondano le ragioni profonde dello sport. Quando nasce la polis, simbolo della Grecia arcaica (VIII-VII secolo a.C.), i greci avevano la nostra medesima percezione: la lotta era uno sport primordiale che andava inserito nei costituendi giochi di Olimpia perché segnava legami e continuità con il passato primitivo. La lotta era il gesto antico e aristocratico dove la competizione è muscoli contro muscoli. Tutta diversa dal combattimento oplitico di natura collettiva dove servono armamenti, tecniche, strategie. Eracle è il grande lottatore che affronta Anteo, scena ricorrente sui vasi della ceramica attica. C'è poi Teseo, altro immortale che sfida gli avversari in lotte che avvinghiano.
È il XXIII canto dell'Iliade a fornire la prima descrizione letteraria di gare sportive. Si narrano i giochi in memoria di Patroclo. Achille per onorare il suo amico morto propone una serie di discipline e la lotta vede impegnati Odisseo e Aiace. Due campioni, ma anche due inseparabili amici. La lotta ritorna nel XIX canto dell'Odissea e trova versi indimenticabili negli Epinici di Pindaro.
*professore di Letteratura greca, Università statale, Milano
15/08/2008