LUMEZZANE. Dal nostro inviato
Il distretto di Lumezzane come metafora dell'Italia che sperimenta fenomeni nuovi. La finanza di stretta osservanza, e destino, gnuttiana. Ma, anche e soprattutto, l'onda della globalizzazione che da quasi dieci anni sale fino a queste montagne: i big player indiani e asiatici diretti concorrenti sui segmenti di mercato più bassi e, in generale, l'industrializzazione dei Paesi emergenti talmente onnivora da sostenere l'enorme crescita dei prezzi dei metalli.
Un mutamento di contesto così traumatico ha costretto a rimodellarsi il distretto che, fra l'epicentro originario e tutte le aziende scese a valle ma ancora nella provincia, secondo una stima formulata da una ricerca commissionata dal Comune dovrebbe valere la metà del Pil bresciano. L'ultima riconfigurazione è avvenuta non senza fatica. Tanto che, stando ai dati dell'Istat e della Camera di commercio rielaborati dall'ufficio studi dell'Associazione Industriale Bresciana, fra il 2001 e il 2006 il manifatturiero a Lumezzane, a fronte di una diminuzione delle unità locali da 820 a 807, ha visto un calo degli addetti da 8.078 a 7.236. Gli shock degli ultimi anni si sono inseriti su una struttura distrettuale che ha nel suo Dna storico la metamorfosi. «Molte aziende incominciarono a spostarsi già nel dopoguerra - ricorda la avvocato Nicla Picchi, giovane assessore alle Attività produttive che a Brescia ha uno studio specializzato in diritto internazionale e in contrattualistica - ma la riconfigurazione radicale si è verificata negli anni Settanta, quando le imprese incominciarono a scendere a valle, sull'asse della Milano-Venezia». Verso Milano, ci sono gli stabilimenti di Sabaf (piani cottura e valvole), Almag (barre d'ottone), Feinhoren (tubi in rame) e Abert (posate). Nella direzione di Venezia, la Aghifug (posate) e la Industria Metalli (pressofusione e stampaggio). Per la già citata ricerca voluta dal Comune, in tutto si sono spostate 15 aziende con oltre 250 addetti. E lo stesso hanno fatto almeno altre 200 di dimensioni minori. Questo distretto, però, non è esploso. Il legame con Lumezzane è rimasto. Parecchie società hanno conservato la sede in montagna. Molti imprenditori vivono qui. Il legame con l'indotto è rimasto. Per esempio, un'impresa come la Bossini, specializzata in docce, ha circa la metà dei fornitori ancora a Lumezzane. «Oggi - osserva Picchi, figlia di quel Giovanni Picchi che nella sua azienda di macchine utensili per primo negli anni Sessanta introdusse a Lumezzane le macchine a controllo numerico della Olivetti - le maggiori debolezze riguardano le piccole imprese. E, al di là della categoria dimensionale, il tema centrale è l'innovazione. Un elemento essenziale, in un distretto già provato da una selezione che ha colpito duramente, infierendo soprattutto sugli artigiani». Proprio per questo, in un tessuto imprenditoriale fondato anche su 4mila partite Iva (una ogni sei abitanti), il Comune sta cercando di fare da pivot in un progetto che ha già analizzato le esigenze di un campione di 50 aziende e che, in futuro, costituirà tavoli a cui si siederanno le imprese e i ricercatori della facoltà di Ingegneria dell'università di Brescia. «Questa iniziativa - dice Picchi - ha un doppio obiettivo: inoculare l'idea che l'innovazione non sia soltanto il risultato della capacità manuale di fare e rifare, ma che sia anche collegata al sapere formale. E iniziare a introdurre la prospettiva che, insieme, si può migliorare di più».
Nella complessa riorganizzazione sperimentata da Lumezzane, ci sono altri due fattori da considerare: la graduale e lenta managerializzazione e il tema dell'avvicendamento fra generazioni. Su quest'ultimo delicato argomento, appare originale l'approccio dei Bugatti, una delle famiglie storiche di Lumezzane le cui aziende (specializzate in posateria, pneumatica, macchine utensili e illuminazioni per esterni) fatturano circa 50 milioni di euro, con un tasso di crescita del 5% annuo. Dai cinque fratelli fondatori sono nati undici maschi. «I ragazzi - spiega Virgilio Bugatti, 73 anni - sono stati distribuiti a ventaglio: nessuno lavora con il padre, tutti lavorano con uno zio. Il risultato è che si creano rapporti più equilibrati in fabbrica. Nessuno viene portato in palmo di mano, nessuno viene schiacciato. Ogni cosa è più razionale».
P. Br.
19/07/2008