Adriana Cerretelli
BRDO (SLOVENIA). Dal nostro inviato
Marco Masciaga
NEW DELHY
Con una mossa che sembra segnalare un parziale cambio di atteggiamento verso la leadership cinese, il Dalai Lama ieri ha reso pubblica una lettera aperta al popolo cinese in cui critica la stampa di Pechino per il modo in cui sta raccontando la crisi tibetana. «Il modo in cui i media di Stato hanno riferito dei recenti avvenimenti, ricorrendo all'inganno e a immagini distorte, può gettare i semi della discordia razziale con conseguenze di lungo periodo difficili da prevedere», recita la missiva.
Il documento, che nel solco della politica verso Pechino del Dalai Lama non avanza pretese di indipendenza per il Tibet né chiede il boicottaggio dei giochi olimpici, prosegue facendo un appello alla leadership cinese perché avvii un dialogo con il popolo tibetano. Si tratta della seconda apertura in pochi giorni, dopo che la scorsa settimana un'offerta del Dalai Lama di recarsi personalmente a Pechino per incontrare il presidente cinese Hu Jintao era caduta nel vuoto.
La posizione cinese dall'inizio della crisi a oggi non è cambiata di molto: il Dalai Lama continua a essere accusato di volere l'indipendenza del Tibet, e non una semplice forma di autonomia, e di essere il cervello dietro le rivolte scoppiate a Lhasa nei giorni scorsi. L'unica novità poteva essere scorta ieri tra le righe del quotidiano "China Daily" dove per la prima volta si è fatto cenno a vittime di etnia tibetana, 3 delle 19 di cui parla la versione ufficiale del Governo, lasciando però intendere che si tratterebbe di morti causate dalla rivolta e non dalla repressione.
Ieri intanto la strategia di Pechino, che sta cercando di contenere i danni arrecati all'immagine del Paese dalla crisi tibetana, ha preso una nuova piega con il viaggio in Tibet di una delegazione di diplomatici stranieri. La missione, a cui partecipa anche un delegato dell'ambasciata italiana, si concluderà oggi e finora non ha registrato episodi simili a quello che giovedì ha permesso ad alcuni giornalisti occidentali di raccogliere le accuse lanciate da un gruppo di monaci buddisti. Il Governo cinese ha fatto sapere ieri che i religiosi al centro della vicenda non saranno puniti.
Sul fronte internazionale va registrata la nuova sollecitazione del presidente americano George Bush a Pechino perché riprenda il dialogo con il Dalai Lama, un'iniziativa che sarebbe «nell'interesse della Cina».
Sul versante europeo le posizioni sono articolate. «Fermezza e pazienza»: questo l'atteggiamento che, secondo l'austriaca Ursula Plassnik, l'Europa dovrebbe prendere verso la Cina, colpevole della repressione in Tibet. E la formula è sufficientemente ambivalente per tentare di costruirci sopra quell'unità che appare difficile dentro l'Unione. Hanno provato a farlo ieri a Brdo, in Slovenia, i ministri degli Esteri dei 27 che oggi sperano di concludere l'incontro con una linea consensuale. Non sarà facile.
Da una parte c'è un gruppo numeroso di Paesi, che comprende Germania, Svezia, Finlandia, Danimarca, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo e Slovenia, contrario al boicottaggio della cerimonia di apertura dei Giochi olimpici (il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha detto ieri che il cancelliere Angela Merkel non sarà presente alla cerimonia inaugurale dei giochi, ma non per motivi politici). Dall'altra ci sono Paesi come Polonia, Repubblica Ceca, Estonia, capeggiati dalla Francia di Nicolas Sarkozy (che però sta smussando le proprie posizioni) che invece hanno già annunciato che diserteranno la cerimonia.
«Dobbiamo avere una posizione comune sul Tibet e non sui Giochi» ha tagliato corto Javier Solana, l'alto rappresentante Ue per la politica estera. Nella dichiarazione alla quale si sta lavorando e che sarà resa nota oggi, secondo le indiscrezioni che circolavano ieri sera l'Europa esprimerà preoccupazioni per il Tibet chiedendo la fine della repressione, non menzionerà l'ipotesi del boicottaggio delle Olimpiadi ma auspicherà il riconoscimento delle identità culturali di tutte le minoranze insieme al rispetto dell'integrità territoriale della Cina, invitando le due parti a risolvere la crisi attraverso il dialogo pacifico.
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29/03/2008