Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite approva la moratoria internazionale sulla pena di morte, ma per la Cina la notizia semplicemente non esiste. Anche ieri, come accaduto un mese fa quando la Terza commissione presentò la proposta ai Paesi membri dell'Onu, i media del Dragone hanno sorvolato sulla decisione delle Nazioni Unite.
Vista dall'Italia, la reazione cinese può sembrare incomprensibile. La decisione che noi abbiamo salutato come una svolta storica nell'affermazione universale dei diritti umani, per l'altra grande antica civiltà del pianeta è un fatterello di nessuna importanza. Questione di punti di vista. Che sul tema sono assai differenti. E ciò non dipende dal fatto che i due Paesi siano governati da sistemi politici diversi. Oligarchia e democrazia in questo caso non c'entrano. Oggi oltre la Grande Muraglia la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica è favorevole alla pena di morte e non vede alcuna ragione per abolirla. Punto e basta.
È sufficiente curiosare sulla rete e sui blog cinesi, anche quelli animati dalle opinioni dei giovani, per captare il consenso della gente sull'uso del patibolo come deterrente contro il crimine. «Nella nostra società c'è troppo male e troppa violenza. Chi sbaglia deve pagare duro e lo Stato non deve concedere sconti», osserva una studentessa. «Il concetto di occhio per occhio, dente per dente è radicato da secoli nella civiltà cinese. Perché abolirlo proprio ora che ce n'è maggior bisogno per arginare la criminalità che aumenta a vista d'occhio?», s'interroga un altro blogger.
Il richiamo alle tradizioni è un aspetto tirato in ballo da molti. «Lo sviluppo economico ha creato delle disparità sociali enormi, con il risultato che i poveri invidiano i ricchi e sono sempre più inclini al crimine. Dunque, sarebbe pericolosissimo abolire la pena di morte proprio in questo momento. Come dice un antico motto cinese, nelle fasi di turbolenza i governanti devono usare la massima fermezza per controllare la società», scrive un manager di una società di pubbliche relazioni.
Il fatto che la Cina sia il Paese al mondo a ricorrere maggiormente alla pena capitale è quindi una semplice questione di numeri: tanta gente, tanti criminali, tante condanne. Quante esattamente nessuno lo sa. Dati ufficiali non ce ne sono perché Pechino considera la faccenda un segreto di Stato. Non resta quindi che affidarsi alle stime delle organizzazioni internazionali. Secondo Amnesty International, nel 2005 oltre la Grande Muraglia sarebbero finite sul patibolo 1.770 persone, pari all'80% del totale dei condannati a morte in tutto il mondo. Altre organizzazioni sostengono che il numero reale delle esecuzioni di Stato sia ben superiore: per Nessuno tocchi Caino, nel 2005 in Cina ben 5.494 persone sarebbero finite nella mani del boia.
Le uniche voci contro la pena di morte sono quelle degli intellettuali. Sono voci libere che da anni esprimono il loro dissenso e si battono per l'abolizione delle fucilazioni e delle iniezioni letali. Le loro tesi, come il manifesto Sette ragioni per essere contro la pena capitale del professor He Weifang della Beijing University, sono pubbliche e sono state a lungo dibattute anche a livello governativo.
La loro battaglia non è stata inutile. Complici le Olimpiadi, che nell'estate 2008 proietteranno la Cina su un palcoscenico internazionale in cui il protagonista non sarà solo lo sport ma anche i diritti umani, civili e religiosi, Pechino ha ascoltato le istanze del movimento trasversale anti-pena di morte. Su questa base, l'anno scorso ha varato una riforma storica che ha tolto ai tribunali provinciali il potere assoluto di spedire i criminali sul patibolo. Dal primo gennaio 2007, infatti, la Corte suprema ha il compito di vagliare ed esprimere un parere di ultima istanza su tutte le sentenze di condanna a morte emesse dalle corti locali. Qualche mese fa, in virtù dei nuovi poteri che le sono stati conferiti per legge, la Corte suprema si è spinta anche oltre, emanando una serie di disposizioni volte a moderare l'applicazione della condanna capitale e per limitare la sua applicazione ai crimini più efferati. I delitti passionali o causati da litigi di vicinato, per esempio, non dovrebbero essere più sanzionati con la condanna a morte: a patto, però, che l'autore dell'omicidio sia in grado di pagare un congruo risarcimento alla famiglia della vittima. Anche i responsabili di reati economici, come l'appropriazione indebita e la truffa ai danni dello Stato, non dovrebbero essere più spediti davanti al plotone di esecuzione.
lucavin@attglobal.net
I NUMERI DELLA VERGOGNA
5mila
Le esecuzioni in Cina nel 2006
Secondo Nessuno tocchi Caino (5.494 nel 2005). Per Amnesty International sono 1.010 (1.770 nel 2005)
5.628
Le condanne nel mondo
Dati di Nessuno tocchi Caino su 27 Paesi. Secondo Amnesty International sono 1.591
53
Le esecuzioni negli Usa
Per Nessuno tocchi Caino (42 secondo Amnesty International)
215
Le esecuzioni in Iran
Secondo Paese dopo la Cina per numero di condanne (dati di Nessuno tocchi Caino: 280 per Amnesty International)
20/12/2007