Alfredo Sessa
MILANO
La crisi dei subprime, scoppiata la scorsa estate, continua a seminare zizzania nell'economia internazionale, ma non intacca l'interesse per gli investimenti fuori confine. Soprattutto se l'oggetto del desiderio sono i mercati emergenti, che si sono rivelati bravi a schivare la tempesta dei mutui. È questo l'orientamento dei top manager dell'industria mondiale, che hanno stilato per A.T. Kearney, la società americana specializzata in consulenza aziendale, la loro classifica in tema di attrattività dei mercati esteri, e hanno indicato le loro aspettative per il futuro.
Il quadro che ne emerge, sintetizzato nel "Foreign Direct Investment Confidence Index", vede per il 2007 la consacrazione definitiva di Cina e India, che guidano saldamente la lista dei primi 25 Paesi più attraenti per gli investimenti esteri e confermano i primi due posti del 2006. Quelli che un tempo erano i perdenti dell'economia internazionale colonizzano le prime posizioni con altre presenze di rilievo: dopo India e Cina, infatti, si segnalano per la fiducia accordata loro dai grandi investitori anche Brasile, Emirati arabi uniti (Eau), Vietnam. E l'Italia? Scomparsa. Non rientra nella lista dei primi 25 Paesi del Fdi Confidence Index, che pure annovera altri Paesi europei come Germania, Francia, Polonia.
Lo scarso uso di alchimie da finanza strutturata ha sostanzialmente protetto gli emergenti dalla crisi subprime. A tenere i top executive con il fiato sospeso, allora, non sono tanto gli scossoni che fanno tremare il mercato del credito, quanto le altre nubi che si addensano sull'economia mondiale: il rallentamento del l'economia Usa, la volatilità del dollaro, il rialzo dei tassi di interesse, l'eccesso di leggi e regolamenti, la volatilità dei prezzi dell'energia.
Ma una cosa è certa: «Il centro del potere economico continua a spostarsi in maniera percettibile dai mercati maturi a quelli emergenti – dice Paul Ludicina, presidente di A.T.Kearney –. La nazioni sviluppate stanno competendo con quelle in via di sviluppo per attirare capitali di investimento, e queste ultime risultano sempre più vincenti».
A scuotere la fiducia degli investitori internazionali non ha contribuito neanche il caso dei giocattoli cinesi ritirati dal commercio perché considerati nocivi alla salute, e la percezione di livelli di qualità ancora poco costanti sui mercati emergenti. Qualche vibrazione, semmai, nasce dal timore che i mercati sbarrino la strada ai prodotti made in China: «Quando rispondono sui principali rischi per gli investimenti futuri in Cina – dice Ludicina – il 50% degli investitori cita la proprietà intellettuale, il 44% l'imprevedibile ambiente politico-legale, il 32% la bolla azionaria e immobiliare e il 31% il rischio di una reazione protezionista nei confronti dei produttori cinesi».
India, Cina, Brasile, Eau e Vietnam nel 2007 hanno determinato i più decisi cambiamenti, in positivo, dei piani di investimento all'estero dei grandi gruppi. In una prospettiva di uno-tre anni, secondo i top executive intervistati, le nazioni in via di sviluppo saranno sempre più prese in considerazione nella politica di investimento.
La Cina riscuote la fiducia del 34% degli investitori asiatici, mentre i tre quarti dei manager che indicano come altamente probabile un loro investimento in India provengono da Paesi extra-asiatici.
La principale preoccupazione di chi si prepara a investire in Asia sono i costi energetici e la tutela della proprietà intellettuale. Chi si lascia tentare dall'Est Europa esita invece a causa della corruzione e delle riforme incomplete, mentre in America latina suscita perplessità la crescita del populismo. Dall'Africa si attendono, infine, riduzione della burocrazia e incentivi fiscali per incoraggiare la "primavera" del Continente nero.
Gli investitori corporate, intanto, stanno assistendo all'aumento degli investimenti di alto profilo da parte degli hedge fund, delle società di private equity e dei fondi sovrani. Quali, di questi tre canali, farà più concorrenza ai tradizionali Investimenti diretti esteri (Ide)? Per i manager non ci sono dubbi: il 62% ha risposto che la competizione, per investire sui mercati esteri, avverrà soprattutto con le società di private equity.
www.atkearney.com
Il sondaggio sugli investimenti esteri
DUBBIO AMERICA
Incertezza tra i manager sull'opportunità di incrementare gli investimenti negli Stati Uniti. A pesare è il crescente interesse per i mercati emergenti, la preoccupazione per la svalutazione del dollaro, il rallentamento dell'economia Usa e, infine, l'incognita delle elezioni del 2008. Alla fine, però, l'interesse per i grandi numeri
di vendita e per una situazione ambientale consolidata prevale. Il 52% dei manager intervistati da A.T. Kearney, dichiara così
di prevedere un aumento degli investimenti nei prossimi
tre anni negli Usa, il 44%
non prevede cambi,
e solo il 4% pensa a una ritirata
I giganti ispirano fiducia
60
Paesi delle società intervistate
Le società che hanno risposto alle domande di A.T. Kearney sono rappresentative in totale di 60 Paesi. Il 31% sono società asiatiche, Europa e Nordamerica hanno contribuito ognuna con
il 25% del campione, Africa
e Medio Oriente rispettivamente con il 7 per cento. Dall'America latina, infine, arriva
il 5% delle risposte
75%
Quota degli Ide mondiali
Le società che hanno partecipato al sondaggio sono all'origine di più del 75% del flusso globale di Investimenti diretti esteri (Ide)
17
I settori rappresentati
Sono in totale 17 i settori industriali di provenienza
dei vertici aziendali intervistati.
Al sondaggio hanno preso parte in maggioranza i Ceo (35%) e i manager (21%) delle società
18/12/2007