di Lara Ricci
«L'uomo arriverà su Marte? Certamente: sarà un cinese» si divertiva a rispondere qualche anno fa l'astronauta dell'Agenzia spaziale europea André Kuipers. Era serio, ma la frase suonava come una provocazione. Oggi non si stupirebbe più nessuno, ed è passata pure la voglia di scherzarci sopra. Da dieci giorni la Luna ha un satellite cinese che le gira attorno, e l'osserva attentamente. Chang'E-1 è entrato in orbita con precisione svizzera. Ha una bandiera rossa "tatuata" sulla capsula. Nello spazio come nella biologia, nella ricerca applicata come in quella pura, il gigante dalle origini contadine si sta imponendo con prepotenza.
Mentre l'occidente si interroga su questioni etiche che un asiatico fatica persino a capire, e l'Italia anela a una fumosa "politica della ricerca", a Pechino la politica la fanno proprio gli scienziati: tutti i membri del comitato politico permanente del partito comunista cinese, il maggior organo di potere, sono laureati in materie scientifiche o in ingegneria. Il presidente Hu Jintao ha studiato al "Mit" di Pechino, la Tsinghua University, mentre il premier Wen Jiabao è un geologo. I "tecnocrati" sono al potere dai primi anni ottanta, e i risultati sono evidenti.
Non solo per i ciclopici progetti ingegneristici, come la contestatissima diga sullo Yangtze, ma per l'incremento dei fondi in ricerca e sviluppo (passati dallo 0,95% del prodotto interno lordo del 2001 all'1,34% del 2005) o per la crescita del numero di laureati cinesi che ritornano in patria. Perché qui, dicono, le cose sono davvero cambiate, ci sono opportunità e molti fondi a disposizione, erogati dal governo stesso, che non esita a scommettere su progetti anche di notevoli dimensioni e che investe con decisione nel rimpatrio delle sue migliori menti, dai premi Nobel ai giovanissimi talenti. Nel 2000 tornavano poco meno di diecimila studenti su 40mila espatriati, nel 2005 la Cina poteva già contare sul rientro, ogni anno, di 35 mila scienziati e ingeneri con una formazione internazionale (mentre 120 mila sono partiti). Parallelamente crescono le pubblicazioni sulle riviste scientifiche internazionali: dal 2% del totale degli articoli nel 1995, la Cina ha raggiunto Giappone e Regno Unito attestandosi sul 6% (gli Stati Uniti sono scesi al 30%).
Esempi concreti di ciò che significano questi numeri si possono leggere sul settimanale inglese «New Scientist». L'ultimo numero dedica alla Cina una serie di inchieste sul campo. A sorpresa si apprende che il secondo uomo più ricco della Cina non è un magnate dell'industria pesante o un oligarca dell'energia sporca, bensì un giovane imprenditore verde: Shi Zhengrong, ex studente modello dell'università di Sydney, produttore di pannelli solari. Non li vende quasi in patria, da dove arriva solo l'1,5% dei ricavi: commercia soprattutto con quei Paesi i cui governi incentivano l'energia solare (non è ancora competitiva), come Germania e Spagna.
In una remota cittadina costiera, famosa un tempo per le torte di sesamo e tofu, Hefei, si trova invece uno dei più promettenti gruppi di ricerca nel campo del calcolo quantistico, per ammissione degli stessi "concorrenti", come Caslav Brukner, dell'Università di Vienna. Jian-Wei Pan, ex studente di Anton Zeilinger, nel 2003 ha ricevuto fondi annuali di 250 mila dollari per tornare a casa, solo tre mesi l'anno, dall'Università di Heildelberg, in Germania. Lì ha creato un centro per arrivare – «tra almeno dieci anni», ammette – a soluzioni concrete verso la costruzione del computer più potente del mondo, «Made in China», forse.
Meno convincenti, per ora, i risultati sulle cure a base di cellule staminali fetali. Ma le sperimentazioni, per esempio per rigenerare il midollo spinale danneggiato da un incidente, vanno avanti a ritmi impressionanti. Centinaia, forse migliaia di malati vengono sottoposti a trattamenti sperimentali. E se molti di questi studi non rispettano le necessarie tutele verso i pazienti imposte dalla ricerca in Occidente (e tantomeno si pongono il problema "etico" sull'uso di staminali embrionali che tanto angoscia l'occidente cristiano), altri invece sono certificati secondo i criteri «Good clinical practice» della Food and drug administration americana e guidati da medici di fama internazionale, come Wise Young, il neurologo cinese che ebbe in cura anche Christopher Reeve.
18/11/2007