Aprono filiali, siglano joint venture, acquisiscono partecipazioni. E, sempre più, applicano ai loro prodotti l'ambita etichetta made in Italy. Sono i campioni industriali e finanziari dei Paesi Ric – Russia, India e Cina – che sognano un futuro da leader globali e guardano all'Italia come al «posto giusto in cui investire e produrre», sottolinea Renato Ridella, partner di At Kearney, ma per il mercato domestico, più attraente di quello europeo, ormai maturo e complesso.
Una tendenza rovesciata rispetto alle strategie delle aziende nostrane, spesso inclini alla delocalizzazione, che dal 2001 ha favorito l'ingresso di gruppi russi, indiani e cinesi attratti dalle competenze d'eccellenza del mercato italiano. Secondo uno studio realizzato da At Kearney nei primi dieci mesi di quest'anno, sono 61 le imprese Ric sul nostro territorio, per un fatturato di 5,6 miliardi di euro e 17 mila dipendenti. Cifre contenute, ma importanti. E se siamo lontani dal Giappone, che con 317 aziende, 16,5 miliardi di fatturato e 28 mila dipendenti è il primo gigante asiatico a investire in Italia, l'avanzamento è a ritmi sostenuti e tende alla "specializzazione". Le presenze Ric classificabili come «caccia al made in Italy» sono infatti un quarto del totale e nei primi nove mesi del 2007 si sono già registrate cinque operazioni in questo settore, contro le tre dei due anni precedenti.
Sedici aziende, piccole e medie, 400 milioni di fatturato e più di 1.400 dipendenti: è questa la fotografia del made in Italy targato Cina (ma senza Hong Kong), India e Russia. Gruppi che hanno realizzato importanti acquisizioni (anche con partecipazioni di minoranza) di marchi italiani, contribuendo nella metà dei casi a risollevare aziende in crisi o in difficoltà. O che hanno stabilito i loro centri di ricerca nei distretti industriali ritenuti più qualificati e competitivi. Tre i settori di punta – tessile, elettrodomestici e automative – dove a fare da padroni sono cinesi e indiani. Ma le nicchie si moltiplicano e conoscono già sperimentazioni inusuali nel lusso e nei prodotti di alta gamma.
Sei imprese su sedici sono concentrate nell'abbigliamento e l'India è di gran lunga il primo investitore. Himatsingka quest'anno ha acquistato Bellora, prestigioso e antico marchio che dal 1883 produce tessuti di lino per la casa. Bhartya ha aperto il suo centro di ricerca e sviluppo a Firenze e nel 2002 ha acquisito la Ompel di Cremona, specializzata nella produzione di pellicce, ora ribattezzata Ultima Italia, ed è diventata la prima azienda indiana a vendere nel mondo capi in pelle con un'etichetta non "made in India".
Nonostante i problemi con la burocrazia per i visti, si dice convinta che «l'Italia è il Paese giusto per chi lavora nella moda». Morarjee vende i suoi tessuti nella nuova filiale di Milano. Winsome, insieme a Gemona Manifatture e Tintoria Clerico Piana e con il contributo del private equity I2 Capital, ha acquisito nel 2006 Olcese, storica azienda italiana, leader nei filati di cotone, in amministrazione straordinaria dal 2004. La nuova società, la New Co Cot, è l'unica sede tessile del gruppo indiano fuori dal subcontinente. L'operazione più nota in questo settore ha però una firma cinese. Meno di un mese fa la Hembly Int'l ha rilevato la Sergio Tacchini, celebre marchio dell'abbigliamento sportivo. E i russi? La moscovita Molito Fashion Group ha aperto a Milano un ufficio per creare il suo primo brand, acquistare tessuti e coordinare la produzione, italiana doc.
Nel campo degli elettrodomestici a prevalere sono le aziende cinesi. Come la Haier, partecipata dalla Merloni e posseduta al 40% dal Comune di Qingdao, terzo produttore al mondo, primo in Cina. Nel 2004 ha stabilito a Varese la sua sede europea perché «l'Italia è un banco di prova per il successo in Europa». Poi ha rilevato la ex-Mereghetti di Campodoro, Padova, unico impianto europeo del gruppo cinese, riconvertito, che ora produce frigoriferi combinati.
Parla cinese anche il settore dell'automotive. Le due più grandi case automobilistiche della Repubblica Popolare, Jac e Changan, hanno posizionato i loro Centri design a Torino, mentre le motociclette Benelli fanno parte del gruppo Qianjiang da due anni. E ancora, la Guangdong DongPeng ceramics ha costituito una joint venture con la veronese Mazzi per commercializzare le piastrelle cinesi in co-branding con Pininfarina. La russa Spi Group, che produce superalcolici, si è assicurata una quota di minoranza in Tenute di Toscana, azienda del gruppo Frescobaldi. E per finire la holding della famiglia indiana Chandarja ha rilevato Eurobags e Alupieve (fornitore di Bialetti), attive nelle borse di plastiche e nei dischetti di alluminio per casalinghi.
Insomma la sfida delle nuove "tigri asiatiche" passa per l'Italia con società in grado di superare lo stereotipo di mercato più diffuso: basso prezzo, bassa qualità.
13/11/2007