Ci sono, nella Storia, momenti in cui il tempo passa, ed altri in cui i tempi cambiano. Quando si verifica questa seconda circostanza, il dato cronologico cede il passo a una transizione ontologica, che investe cioè la natura stessa dei fenomeni che avvengono intorno a noi. E' questo il caso del sistema internazionale contemporaneo, vale a dire della maniera in cui concepiamo la distribuzione del potere nelle relazioni tra gli Stati. L'egemonia degli Stati Uniti è in piena involuzione. L'unica superpotenza, quell'hyperpuissance invisa a tanti durante l'ultima guerra in Iraq, regredisce verso lo status di maggiore tra una molteplicità di grandi potenze.
Il discorso vale sia che scegliamo di guardare al mondo da una prospettiva realista, considerando gli Stati come attori razionali impegnati a massimizzare potere e sicurezza, sia che ragioniamo alla maniera di Gramsci, pensando quindi a un'egemonia di soft power.
In entrambi i casi la visita di Obama a Shanghai e Pechino tra il 15 e il 18 novembre scorsi è parsa a molti un'epitome dei tempi che cambiano. La stampa statunitense ha sottolineato come il Presidente abbia dato l'impressione di tornare a mani vuote, senza precisi impegni da parte di Pechino sui dossier che più pesano a Washington: guerra in Afghanistan e rivalutazione del renmimbi nei confronti del dollaro. In confronto, George W. Bush, figlio di un ex ambasciatore in Cina, aveva saputo ottenere il nulla osta cinese per la guerra in Afghanistan e dare l'avvio al United States-China Strategic Economic Dialogue, ancor oggi il forum più importante per le relazioni sino-statunitensi. Anche sulle questioni del nucleare iraniano e della lotta all'inquinamento Pechino ha dato risposte parziali: ha votato a favore della risoluzione AIEA contro l'Iran e ha annunciato per la prima volta di voler fissare limiti chiari alle proprie emissioni di CO2 durante la Conferenza sul Clima di Copenhagen. Mancano ancora le controprove, però: quale atteggiamento terrà la Cina in Consiglio di Sicurezza ONU se Teheran rigettasse la mediazione del sestetto? E quale follow-up reale c'è da attendersi dopo Copenhagen?
Meglio dovrebbe andare sul fronte soft power, data la formidabile capacità dell'attuale Presidente di parlare al cuore dell'audience mondiale, sia essa al Cairo, a Praga o a Tokyo. Ma di acqua sotto i ponti ne è passata dal 1998, quando l'ultimo inquilino democratico alla Casa Bianca – Bill Clinton – potè scegliere quasi in autonomia dove, come e di cosa parlare ai cinesi, senza tralasciare commenti su diritti umani e Tiananmen. L'esposizione pubblica di Obama, invece, è stata fortemente controllata da un protocollo tanto ingombrante da dare l'impressione di "manipolare" la delegazione statunitense. Quest'ultima, d'altro canto, ha scelto un registro alquanto accomodante, attenendosi alla linea pragmatica delineata dalla Segreteria di Stato sin dalle prime battute della nuova amministrazione. Come questo approccio si riconcili con l'Obama della "Audacia della speranza" è difficile capirlo, ma non si può negare che l'implosione del modello economico statunitense appena un anno fa non favorisca (e forse non consenta più) la promozione del catalogo di valori e istituzioni di cui tradizionalmente Washington si fa portabandiera.
Con la Cina Obama è costretto a giocare una delle partite più difficili: in possesso di risorse materiali e simboliche scarse, deve lavorare nel breve periodo sugli interessi convergenti dei due Paesi, senza che ciò comprometta nel lungo periodo la posizione di relativa superiorità di Washington o la credibilità dei valori che hanno fatto grande l'America.
di Giovanni Andornino
*Anticipiamo un editoriale della rubrica "La parola all'esperto" che AgiChina24 proporrà ai lettori a partire da gennaio 2010. La rubrica avrà un aggiornamento settimanale e ospiterà gli interventi di professionisti ed esperti italiani e cinesi che si alterneranno proponendo temi di approfondimento nelle varie aree di competenza, dall'economia alla finanza, dal diritto alla politica internazionale, dalla cultura a costume&società. Giovanni Andornino curerà per AgiChina24 la rubrica di politica internazionale.
Giovanni Andornino è docente di Relazioni Internazionali dell'Asia Orientale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino e la Facoltà di Scienze Linguistiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal 2009 è Visiting Professor presso la School of Media and Cross-Cultural Communication, Zhejiang University, Hangzhou (PRC).
Ha conseguito un Master in Global History presso la London School of Economics ed è dottore di ricerca in Rappresentazioni e comportamenti politici (Università Cattolica di Milano). Autore di Dopo la muraglia. La Cina nella politica internazionale del XXI secolo (Vita e Pensiero 2008), ha pubblicato tra l'altro su Teoria Politica, China & World Economy e per i policy briefs di ISPI. Il suo capitolo su "China and Global Governance" sta per uscire nell'ambito del nuovo manuale Routledge A Handbook of Chinese International Relations (2010). Dal 2009 coordina un gruppo di ricerca internazionale sul progetto "Engineering a global framework for Europe's strategic policy-making. 'Effective multilateralism' for the governance of a multipolar world."
Giovanni Andornino è General Editor del portale TheChinaCompanion (www.thechinacompanion.eu), specializzato in politica, relazioni internazionale ed economia politica della Cina contemporanea. Dal 2007 coordina TOChina, l'unità di lavoro sulla Cina attiva presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Torino (www.to-china.it).