Di Alessandra Spalletta
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Roma, 28 ott. – “Cina e Italia sono importanti per l’export nel mercato internazionale. Se ci mettiamo insieme e rafforziamo la cooperazione, a guadagnarci siamo in due”: ne è convinto l’ambasciatore cinese Li Ruiyu al convegno"Going global: Cina e Italia insieme nei mercati internazionali, un orizzonte flessibile e in movimento", svoltosi nell'ambito della VI edizione del Festival della Diplomazia. L’ambasciatore Li ha osservato che l’Italia è in fase di ripresa economica ma gli occhi di tutti sembrano puntati sul rallentamento dell’economia e sull’andamento ondivago del mercato finanziario. “E' normale che la tenuta dell’economia cinese desti attenzione in Italia: l’ interscambio commerciale tra i due paesi ha raggiunto il valore di 48 miliardi di dollari”, ha spiegato il diplomatico. Non solo. L’anno scorso “gli investimenti cinesi in Italia hanno raggiunto quota 4 miliardi di dollari, una fetta importante del totale degli investimenti cinesi che ammonta a 20 miliardi di dollari” ha riferito Li. Il rappresentante della diplomazia cinese in Italia non nasconde che gli indicatori cinesi riflettano una crescita “meno smagliante” rispetto agli anni passati. Sono evidenti le sfide che il governo di Pechino deve affrontare nel processo di transizione economica in atto. Ma sarebbe ingiusto, ha aggiunto Li, decontestualizzare gli scossoni del sistema economico cinese dall’andamento dell’economia mondiale. “Sappiamo molto bene cosa dobbiamo fare in questa fase di aggiustamento fisiologico”, ha ribadito Li, “dobbiamo spingere sullo sviluppo del manifatturiero e aumentare i consumi interni, che già oggi contribuiscono al Pil per il 60%”. Insomma la Cina punta a raddoppiare il Pil e il reddito medio procapite nei prossimi anni, e se il Drago si avvicina a una crescita del 7% "è fatta".
Ottimismo è la parola d’ordine a Pechino. Un ottimismo fondato però su “altri due indici positivi. Occupazione: abbiamo creato 10 milioni di nuovi posti di lavoro raggiungendo in anticipo il target annuale. Reddito: il pil pro capite è aumentato del 9%, una crescita superiore al pil”. Li ha inoltre aggiunto: “Nel passare da un modello all’altro, anche se si sacrifica la velocità, il risultato è un sistema più stabile”. Le prove del fatto che la Cina grazie alle riforme strutturali in atto sia destinata a crescere in modo più sostenibile, vengono anche dallo sviluppo di internet plus e dal “made in china 2025”: iniziative che “favoriscono lo sviluppo di un’ economia condivisa, caratterizzata dall’entusiasmo per l’innovazione e dalla creatività di massa, elementi di stabilizzazioni economica”. Li ha poi insistito sulla necessità di rafforzare la cooperazione italo cinese nell’ambito della strategia “one belt one road” anche per investire insieme nei Paesi terzi. Alla vigilia del 45esimo anniversario delle relazioni bilaterali, “percepisco una forte volontà da parte dei governi di entrambi i paesi di rafforzare la cooperazione in tutti i settori per sfruttare i mercati dei Paesi terzi”, ha detto l’ambasciatore, “ lo dimostra la quantità di iniziative imprenditoriali organizzate nell’ambito dell’Expo".
“Quest’anno”, ha aggiunto Li, “ abbiamo accolto delegazioni anche di piccole imprese private grazie al sostegno delle istituzioni italiane. Di recente Bank of China ha organizzato un convegno a Milano sulle Pmi coinvolgendo 400 imprese italiane e cinesi, e il 60% di queste aziende hanno siglato accordi cooperazione”. Li ha citato anche la recente missione in Italia del China Entrepreneur Club: “L’imprenditore Liu Donghua ha proposto al presidente del Consiglio Matteo Renzi la creazione di una piattaforma triennale che metta in contatto nel primo anno 1000 imprenditori italiani e 1000 cinesi, con l’obiettivo di raggiungere quota 3000 nel secondo anno e 10mila nel terzo. Renzi ha accettato” ha concluso l’ambasciatore.
Ha lanciato invece una provocazione Massimo Iannucci, già ambasciatore italiano in Cina e oggi consulente internazionale per lo studio legale associato Nctm. “Le istituzioni e le diplomazie stanno facendo un lavoro straordinario. Tuttavia, le relazioni economiche tra i due Paesi potrebbero essere migliorate”. Iannucci ha fatto un passo indietro partendo da un indicatore: “Nel 2010 l’interscambio ammontava a 30 miliardi di dollari.In occasione della missione in Italia dell’ex premier Wen Jiabao, Wen e Berlusconi annunciarono l’obiettivo di arrivare quest’anno a quota 80 miliardi di dollari. Quest’anno abbiamo raggiunto 48 miliardi. La mia non vuole essere una critica ma uno stimolo” si è affrettato a precisare Iannucci, che ha aggiunto: “Le relazioni economiche non sono slegate dal contesto storico e culturale. Sarò più chiaro: non potremo mai garantire scambi commerciali bilanciati senza approfondire la conoscenza della Cina. Paghiamo ancora lo scotto di una situazione in cui avevamo seguito l’ex Unione sovietica che in quel momento era ai ferri corti con Mao Zedong. E’ da lì che nasce l’incomprensione storica e la mancanza di conoscenza: nelle nostre scuole non si studia la Cina. I cinesi ci conoscono meglio”, ha ribadito Iannucci, “non realizziamo che ai loro occhi sono gli italiani i rappresentanti europei, eredi dell’antico impero romano con cui l’impero cinese aveva un rapporto a distanza di reciproco rispetto”. “Il vecchio presidente Jiang Zemin nel 2000 fece costruire sulla via Chang’ an a Pechino un monumento per il terzo millennio, un bassorilievo in bronzo che riproduce i simboli degli ultimi 2000 anni dell’impero cinese”, ha proseguito Iannucci. “Ci sono solo due stranieri: Marco Polo e Matteo Ricci. In Italia molti non sanno neanche chi sia Matteo Ricci. Al posto nostro, francesi o tedeschi ne sarebbero andati fieri. Noi invece con la Cina ci limitiamo a mercanteggiare. Quella tra Italia e Cina è una storia di occasioni perdute. Noi siamo fermi ad Aristotele. Loro vanno avanti con Confucio. I cinesi sono alla ricerca dell’armonia, dobbiamo avere nei loro confronti un atteggiamento che mostri apertura e disponibilità a cercare un punto di contatto. E poi i cinesi quando investono nelle nostre aziende, pensiamo a Ferretti o a Benelli, lasciano il management italiano, mettono due cinesi di fiducia ai vertici, e salvano posti di lavoro. Da dove arriva allora tutto questo timore? Dobbiamo costruire la cornice di un dialogo politico all’interno del quale inserire rapporti economici per meglio definirli. Partendo dai temi su cui andiamo d’accordo, dalla lotta al terrorismo al clima” ha concluso Iannucci.
La conoscenza della Cina passa attraverso il ruolo dei media, hanno sottolineato la giornalista Rai Carmen Lasorella e il direttore di CinItalia Giovanni Cubeddu. Di parallelismi tra Italia e Cina ha parlato il Professore ordinario di Economia Politica presso l'Università LUISS, Paolo Garonna, che ha spiegato come entrambi i Paesi “stiano attraversando una fase di riforme e modernizzazione senza precedenti. E’ indispensabile capirsi, e il compito della diplomazia è quello di creare occasioni di dialogo e incontro da cui nascano opportunità di business. Oggi le banche italiane hanno un maggior interesse a conoscere meglio la comunità finanziaria cinese e aumentare gli scambi, come fanno con altri parsi europei”. “L’estate scorsa abbiamo assistito a un momento di discontinuità nei sistemi economici globali” ha detto Garonna, “siamo usciti dalla crisi e siamo entrati in un nuovo ciclo di sviluppo. Poi c’è stata la bolla cinese e la preoccupazione per la volatilità del mercato finanziario per la correzione dell’economia di Pechino. Oggi siamo in un momento di maggiore calma e attendiamo la decisione della Fed sul rialzo dei tassi”. “Dall’estate scorsa abbiamo imparato che c’è una forte interdipendenza tra la Cina e l’economia mondiale e tra questioni nazionali e globali”, ha aggiunto il professore della Luiss. La parola d’ordine per Roma e Pechino è guardare al futuro nel settore digitale, ha sottolineato il presidente di ChinaEu Luigi Gambardella: “La collaborazione tra Cina e Italia può e deve passare sul 5G. Italia e Cina devono combinare design e tecnologia”. Mentre per Bai Junyi della Camera di commercio italo cinese e di Associna “la nuova fase tra Italia e Cina è già in corso. Ad affacciarsi nel mercato italiano non sono solo le grandi aziende come Huawei, che sta peraltro avviando una nuova fase di sviluppo nel mercato degli smartphone, ma anche le pmi. Nel 2014 l’Italia è diventato il secondo paese europeo dopo Uk come destinazione degli investimenti cinesi. La direzione è andare verso prodotti cinesi di alta qualità e abbandonare la competizione basata sui prezzi bassi delle merci. Al ‘go global’ i cinesi ci credono e quando investono in Italia hanno un dinamismo contagioso”. E l’Italia cosa può fare per attrarre i cinesi? “E’ semplice: semplificare le leggi. Ci sono 70mila regolamenti in Italia. Sono troppe da capire per le imprese italiane, figuriamoci per quelle cinesi” ha concluso Bai.
Nella foto Matteo Ricci
29 OTTOBRE 2015
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