Griffe in marcia verso la Cina
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Griffe in marcia verso la Cina

Griffe in marcia verso la Cina

Retail. In forte crescita le aperture di punti vendita «made in Italy» per offrire prodotti alla classe media del gigante asiatico
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È attrazione cinese per le griffe del made in Italy. Lievita il numero di marchi di qualità che hanno aperto o stanno per tagliare il nastro di negozi in una piazza trainante per le opportunità offerte, ma anche piena di sfide da superare.
La crisi non ha intaccato le vendite al dettaglio (+16,9% nel 2009), nè gli investimenti diretti esteri (+23,4% a gennaio 2010, in totale 10 miliardi di dollari), specie nelle aree centro-orientali. Però, è un dato di fatto: si stima che per raggiungere il 70% del proprio segmento, oggi, in Cina, un'azienda deve aprirne 240, di negozi. Destinati, nel 2020, a diventare 400. Una forza muscolare a disposizione di poche realtà. Intanto, però, più di 500 negozi con l'insegna italiana stanno invadendo department store e mall degli alberghi di lusso cinesi.
«Ci vogliono risorse enormi – conferma Giuliano Noci, prorettore per la Cina del Politecnico di Milano – l'acquisizione di Bulgari a opera di Lvmh (si veda Il Sole 24 Ore dell'8 marzo) si spiega così. La griffe italiana aveva ben chiaro il percorso per allargarsi anche nei centri più lontani dalla costa orientale, ma è stato necessario cercare (e trovare) altrove sinergie e fonti di finanziamento». Rivela, per l'appunto, Jean Marc Lacave, presidente Asia Pacific di Lvmh: «Noi seguiamo due linee guida. Nelle 15-20 città chiave con più di cinque milioni di abitanti tra cui Shanghai, Pechino, Huangzhou, Guangzhou, Shenyang, Chengdu, intendiamo offrire la miglior customer experience attraverso lo sviluppo di boutique monomarca di proprietà gestite direttamente. Ne abbiamo otto, altre dieci stanno per essere inaugurate. Nelle altre città è possibile legarsi ai migliori partner che hanno un'ottima conoscenza del mercato locale, con boutique in franchising o grandi shop in ambienti che ci riservino uno spazio di almeno 50 metri».
China mission impossible, allora, per quelli di taglia media? Per Elena Tosana, segretario generale della Camera di commercio italiana a Pechino «ci sono due tipi di aziende, quelle di alto profilo, che puntano a posizioni importanti in prima battuta nelle grandi città. E va bene. Ma la strada è in salita per le altre, quelle che offrono prodotti di qualità, ma non di marca». «Ci vuole una visione strategica di medio periodo – aggiunge il professor Giuliano Noci – che, in particolare, tenga conto degli anni necessari per ammortizzare gli investimenti».
«Spesso il grande marchio spende moltissimo in una location che non rende affatto – conferma Claudio D'Agostino, avvocato, partner di DlaPiper a Shanghai – perché punta a una ricaduta in termini di notorietà del marchio. Ma il timone va orientato poi sulle città più piccole. E la giostra ricomincia. Ora, però, si stanno affermando nuove formule di retail, come il taoguan, che permette di superare la formula del franchising». «In certi casi, come per l'arredo di design, non resta che associarsi a un partner – ammette Dario Rinero, ad del gruppo Poltrona Frau – per questo noi proseguiamo nella strategia in abbinata a Da Vinci, catena della famiglia Phua, presente in tutta l'Asia con una ventina di grandi negozi, incluse le grandi città cinesi».
C'è anche un drappello di griffe artigianali di alto livello che sta aprendo alla Cina. Oltre a Isaia (si veda l'articolo in pagina) c'è Kiton, 34 boutique nel mondo, che ora apre a Hong Kong e «poi a Pechino con i completi da uomo, camicie, cravatte», promette l'ad Antonio de Matteis. Luca Rossetti, erede del marchio fratelli Rossetti è a Pechino e Hong Kong: «Andiamo con la giusta andatura, non siamo un marchio esibito, in fondo è perfetto, per noi, arrivare ora in Cina». Cleto Sagripanti, calzature Manas made in Marche, sta per siglare un accordo con un'importante catena di negozi cinesi. E dalla quiete di Gaggio Montano, profonda provincia bolognese, Marco Palmieri, presidente di Piquadro, borse di design, ribadisce la sua strategia di espansione: «Siamo tra i pochi ad avere punti vendita diretti, sette in Cina, altrettanti ad Hong Kong, un altro in arrivo, in pieno centro». Lino Fornari, patron di Fornarina, è un pioniere, sbarcato vent'anni fa: «Oggi abbiamo una cinquantina di negozi e stiamo pensando di raddoppiare, con un occhio soprattutto agli accessori. Siamo in città, lo confesso, di cui non saprei nemmeno pronunciare il nome». Pioniere assoluto è stato però il gruppo Ermenegildo Zegna, che in Cina ha aperto il primo negozio nel 1991 (oggi sono 75), al Peninsula Hotel di Pechino, e nel 2010 ha annunciato che il gigante asiatico è diventato il suo primo mercato. Pochi giorni fa la conferma con l'annuncio dell'inaugurazione di due nuovi "global store", i negozi progettati dall'architetto del lusso Peter Marino a Chengdu, Hangzhou, che si aggiungono a quelli di Shanghai e Shenzhen.
In espansione anche Tod's, altro gruppo italiano in forte crescita nel 2010, che in Cina è presente con tre dei suoi marchi, Tod's, Hogan e Roger Vivier.
«La Cina è una grande opportunità e continueremo a investire, ma può essere anche un rischio – spiega Diego Della Valle, presidente e ceo del gruppo marchigiano –. Tarare la misura e il numero dei propri negozi su questa particolare fase di crescita può essere pericoloso, non sappiamo per quanto tempo il Paese possa sostenere questi ritmi di crescita».
Ed è di pochi giorni fa la notizia che potrebbe essere lo stesso Governo cinese a frenare la diffusione delle griffe occidentali, italiani e francesi in testa: il China Daily ha diffuso la notizia del divieto deciso dalla municipalità di Pechino di affissione di cartelloni pubblicitari che promuovono prodotti di lusso. Il divieto entrerà in vigore il 15 aprile e ai trasgressori verranno inflitte multe fino a 3mila euro. Scopo dei funzionari dell'amministrazione di Pechino per l'industria e il commercio sarebbe quello di colpire i messaggi pubblicitari che «promuovono l'edonismo» o «la venerazione dei prodotti stranieri». I marchi italiani sono avvertiti.
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I principali brand italiani in Cina

POLTRONA FRAU

Partnership. Grazie all'accordo con Da Vinci, un multibrand del gruppo Frau sta per entrare in funzione a Shanghai: entro il 2013 sono previsti altri 7 showroom

PRA

Verso la Borsa. Secondo indiscrezioni il gruppo si quoterà a Hong Kong in settembre. Nel 2011 verranno aperti 17 negozi e altri 11 nel 2012

KI

New comer. Il marchio napoletano diventato famoso per gli abiti da uomo (che ora offre anche collezioni donna) inizierà da Hong Kong e Pechino

D&G

Boutique e cosmetici. Dolce&Gabbana hanno già 26 negozi in Cina. Nei prossimi due anni ne apriranno altri 15 e lanceranno una linea beauty

TOD'S

Tre marchi. Il gruppo di Diego Della Valle è presente con i brand Tod's, Hogan e Roger Vivier. Una rete di 30 negozi circa che sarà ampliata nel 2011

FORNARINA

Franchising. L'azienda marchigiana ha già 14 negozi a gestione diretta e 36 aperti con la formula del franchising, destinati a crescere nei prossimi due anni

ERMENEGILDO ZEGNA

Nuova frontiera. Il numero di punti vendita delle catene controllate da Luxottica, leader mondiale dell'occhialeria, cresceranno dall'attuale 6% al 12% nel 2012

LUXOTTICA GROUP

Pionieri. Il gruppo Ermenegildo Zegna ha aperto il primo negozio nel 1991, oggi ne ha 75 (4 sono "global store"), ne aprirà 20 nel prossimo biennio

13/04/2011
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