Pechino, 18 giu. - Sono ormai passati quasi cinque anni da quel giorno. Entrai in classe, la calca sembrava non finire mai, l'idea di trovare un posto a sedere mi sembrava impossibile, mi rassegnai e mi misi a sedere per terra, sotto la cattedra. Avevo scelto di studiare cinese, eppure non avrei mai pensato di poter trovare così tante persone il primo giorno di lezione. Colpa mia, la prossima volta sarei arrivato cinque minuti prima per poter usufruire anche io dell'ambito posto a sedere.
Il professore cominciò la sua lezione, e per darci probabilmente un assaggio di cosa sarebbe stato lo studio della lingua cinese man mano che fossimo andati avanti negli anni, sempre che non avessimo abbandonato prima, tracciò a una velocità che in quel momento mi apparve supersonica, un carattere cinese di una quarantina di tratti, dicendoci: anche voi un giorno sarete in grado di scriverlo, ma se non studierete tutti i giorni - Natale, Pasqua e Santo Stefano compreso -, scordatevelo.
Nell'aula si alzò un mormorio, tutti ridacchiarono pensando che volesse solo spaventarci e che non fosse possibile una cosa del genere: qualsiasi cosa che si studia può essere messa da parte per qualche tempo senza grossi problemi. E invece no. Lo scoprii subito, soprattutto all'inizio della mia avventura linguistica: non appena smettevo di esercitare la mia calligrafia, ripetendo i caratteri, anche i più semplici, almeno 10 volte al giorno, ogni giorno, li scordavo in un batter d'occhio. Senza eccezioni: ancora oggi mi chiedo se la tenacia dei cinesi non provenga dallo sforzo che essi fanno per padroneggiare una scrittura così lontana dai nostri standard alfabetici.
Eppure, cinque anni dopo, il giorno prima di partire per la Cina, ho riguardato quel carattere annotato sul quaderno: l'ho riscritto, questa volta in modo chiaro, mentre sistemavo le ultime cose. Arrivato a Pechino, mi ritrovai finalmente immerso in mezzo a tutti gli ideogrammi che così tante volte avevo esercitato: avevo l'impressione che gli ideogrammi mi seguissero sempre, nascosti in qualsiasi oggetto che entrava nel mio campo visivo. A chi, cimentatosi nello studio del cinese, questa sorta di ossessione non è capitato almeno una volta nella vita? L'insegna dell'aeroporto, del taxi, degli slogan pubblicitari, dei cartelli stradali: era quello l'impatto che volevo, sì, proprio quello, nuotare in un mare di caratteri, starci a contatto tutti i giorni per non farli sembrare più uno scoglio così difficile.
Oggi, dopo anni, le cose sembrano essere più semplici, la scrittura cinese non mi sembra più così sfuggente, la dolcezza dei tratti si fa sempre più marcata, ma la tenacia, la necessità di esercitarsi tutti i giorni, non viene mai meno. Bisogna scriverli sempre, gli ideogrammi. Sì, anche quello che scrissi il mio primo giorno di lezione: due draghi uno accanto all'altro, con il significato del volo di questo animale, che in Cina è simbolo di buon auspicio. I cinesi, sono millenni che hanno domato questo drago affascinante, la scrittura della propria lingua; per i non madrelingua, è tutta un'altra storia.
di Gabriele Tola.
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Gabriele Tola è un sinologo e giornalista.
La rubrica "Lettere dalla Cina" ospita gli interventi di giovani italiani che vivono e lavorano in Cina, offrendo spunti di vita quotidiana e riflessioni originali. Andrea Bernardi, Corrado Gotti Tedeschi, Elisa Ferrero, Gianluca Morgese, Matteo Miavaldi, Davide Vacatello, e Gabriele Tola.