di Antonio Talia
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Roma, 7 ago.- Hollywood parla sempre più in mandarino: DreamWorks animation e i partner cinesi hanno annunciato martedì che il nuovo capitolo della fortunata serie "Kung Fu Panda" sarà interamente prodotta a Shanghai attraverso una nuova joint venture, la "Shanghai Oriental DreamWorks".
La nuova società –controllata al 45% dagli americani e al 55% dai cinesi di China Media Capital, Shanghai Media Group e Shanghai Alliance Investment- produrrà fino a tre film all'anno e impiegherà circa 2mila professionisti: tra i progetti del gruppo sino-americano rientra anche la trasformazione dell'area di Shanghai Xuhui in un enorme distretto del divertimento sulla falsariga del West End di Londra e di Broadway a New York –un progetto da oltre 3 miliardi di dollari- e la ricerca di nuove opportunità di business in settori che vanno dai videogame online ai musical, fino alla realizzazione di merchandising e prodotti di consumo.
In Cina "Kung Fu Panda", ha riscosso un enorme successo, ma secondo l'ala più conservatrice dei media ufficiali e del pubblico si è anche trattato di un clamoroso caso di "colonialismo culturale", in cui una megaproduzione statunitense si è impadronita degli elementi della cultura tradizionale cinese senza riuscire a comprenderli davvero.
Il terzo capitolo delle avventure del panda Po riuscirà a mettere a tacere le critiche dei nazionalisti? Di sicuro si tratta di un'operazione che consente a DreamWorks di penetrare con maggiore efficacia sul mercato cinematografico più promettente del mondo: nel 2011 in Cina le vendite al botteghino sono cresciute di un terzo rispetto all'anno precedente, raggiungendo quota 2 miliardi di dollari. Il mercato combinato di Stati Uniti e Canada continua a essere il primo al mondo, con 10,2 miliardi di dollari, ma registra guadagni in calo per il secondo anno consecutivo.
DreamWorks non è l'unico colosso hollywoodiano alla conquista del mercato cinese: ad aprile Disney aveva annunciato che il terzo capitolo di "Iron Man" sarà girato in Cina e prodotto insieme alla DMG Enterprise di Pechino, che aveva già co-prodotto il thriller "Looper", con Bruce Willis, Joseph Gordon-Levitt e Emily Blunt. A gennaio il tycoon cinese Bruno Wu aveva tentato la scalata agli studios della Mecca del Cinema con l'acquisto di Summit Entertainment (i produttori del blockbuster "Twilight") e Colony Capital (che controlla Miramax, produttore di "Pulp Fiction"), un'acquisizione fallito all'ultimo momento con l'arrivo sulla scena di Lions Gate Entertainment.
Sceneggiatori e soggettisti hollywoodiani ammiccano alle sale cinesi da anni: se il remake di "Karate Kid" è stato girato in Cina –con Jackie Chan a ereditare il ruolo del vecchio Maestro Miyagi-, in molti interpretarono la distribuzione di "2012" di Roland Emmerich come un'astuta manovra di propaganda, con cinesi e americani che sullo schermo collaboravano per salvare il mondo, proprio negli stessi giorni in cui Barack Obama incontrava Hu Jintao a Pechino. E nessuno ha dimenticato il milione di dollari che la MGM quasi in bancarotta ha sborsato per correggere al computer "Alba Rossa" (remake del film del 1984) e trasformare gli invasori cinesi all'attacco dell'America in "rassicuranti" nordcoreani, nemico più adatto alla stagione, e che soprattutto non spende denaro al botteghino.
Per Pechino, negli investimenti e nelle collaborazioni con Hollywood, le ragioni del mercato s'intrecciano con la politica: "Potenze internazionali ostili alla Cina stanno rafforzando i loro tentativi di occidentalizzarci e dividerci- si legge in un articolo pubblicato qualche mese fa dal magazine del Partito comunista cinese- e il fronte ideologico e quello culturale rappresentano i loro obiettivi principali. Dobbiamo essere consapevoli dell'importanza e della complessità di queste sfide e adottare potenti misure per affrontarle". L'autore dell'articolo è il presidente Hu Jintao: se il panda Po diventa sempre più cinese, anche il governo sorride
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