È un po' come chiudere un rubinetto dell'acqua. Interrompere il flusso di petrolio o gas da un giacimento non è un'operazione particolarmente difficile e che non richiede molto tempo. Stesso discorso per gli oleodotti. È come l'acqua che resta in un tubo, spiegano gli esperti interpellati dall'Agi, basta riattivare il pompaggio e tutto riparte. È forse per questo che il generale libico Khalifa Haftar ha deciso di bloccare la produzione e l'export di greggio. Un'azione dagli effetti importanti, considerando che l'Italia nel 2019 ha importato circa 7 milioni di barili dalla Libia (12% del totale), ma non irreversibili.
Il problema delle pipeline è rappresentato dal fatto che sono più esposte ad agenti esterni come furti o manomissioni. Un pozzo di petrolio, una volta perforato e completato ovvero reso adatto alla produzione, ha poi tutta una serie di valvole che ne regolano il flusso. Di solito ci sono due sistemi di protezione e se si vuole chiudere, per un qualsiasi motivo, è possibile intervenire su queste valvole per interrompere il flusso, indifferentemente che sia un pozzo a gas o a olio. Per riaprirlo i tempi sono brevi. Un po' più lenti, per motivi di sicurezza, rispetto alla chiusura perché la riapertura deve essere graduale ma si tratta di ore e non settimane.
Diversa invece è la chiusura definitiva del giacimento. In questo caso, quando il sito ha terminato la sua vita produttiva allora subentra quella che si chiama in gergo 'chiusura mineraria'. L'operazione consiste nell'apporre dei tappi definitivi per isolare in maniera permanente e idraulica il pozzo. Normalmente ci sono delle valvole che garantiscono una doppia tenuta, una doppia barriera in modo tale che se non funziona una, c'è l'altra. Per cui una volta azionate queste valvole, il pozzo viene messo in sicurezza. Si interrompe la comunicazione dalla formazione del giacimento alla superficie. A quel punto il sito è chiuso e il pozzo non eroga più.