Ecco come il coronavirus mette in crisi l'industria globale dell'auto

Ecco come il coronavirus mette in crisi l'industria globale dell'auto

Il Cina le fabbriche sono chiuse da tre settimane ma ora alcuni big come Gm, Fca e Toyota iniziano un graduale riavvio (a singhiozzo) degli stabilimenti. L'impatto dell'epidemia in Cina potrebbe ridurre la produzione fino a 1,7 milioni di unità

Coronavirus industria auto

Cina produzione auto elettriche (Afp)

​Lavori in corso per l'industria dell'auto. Il terremoto del coronavirus in Cina ha impattato duramente la produzione e le vendite a livello globale, costringendo i colossi mondiali a rivedere le loro tabelle di marcia, specie in Asia. In Cina le fabbriche di auto sono chiuse da oltre tre settimane per le restrizioni e le misure di sicurezza adottate dalle autorità di Pechino e da quelle locali per controllare la diffusione dell'epidemia. Inizialmente le riaperture erano previste per il 10 febbraio ma, dopo diversi rinvii, solo ora gradualmente alcuni big hanno iniziato a riavviare la produzione, anche se le ripartenze, dopo le lunghe interruzioni legate al capodanno cinese, sono lente, farraginose e procedono a singhiozzo. 

GM, FCA E TOYOTA RIAVVIANO ALCUNI IMPIANTI
Oggi i tre colossi dell'auto General Motors, Fca e Toyota hanno annunciato la parziale riapertura di alcuni impianti. Come rivela la Cnbc, il portavoce di Fca, ​Michael Palese ha confermato che questa settimana lo stabilimento della compagnia a Guangzhou, a centinaia di miglia a sud dall'epicentro del coronavirus a Wuhan, ha ripreso la produzione e che un secondo impianto di assemblaggio della società in Cina "dovrebbe riprendere presto le attività". Anche Gm "ha avviato il processo di ripresa della produzione", all'interno di un percorso di due settimane che interesserà i suoi 15 impianti. La compagnia Usa non ha voluto precisare quanti impianti in Cina stanno riaprendo. Inoltre un portavoce di Toyota ha annunciato che tre dei suoi quattro stabilimenti in Cina questa settimana cominciando a gestire dei singoli turni questa settimana.

"La nostra priorità - spiega il portavoce in una email - continua ad essere la sicurezza sul posto di lavoro e riprenderemo le normali operazioni non appena sarà ritenuto sicuro e appropriato". L'avvio della riapertura degli impianti produttivi in Cina è comunque ostacolato dalle disposizioni delle autorità locali, le quali hanno imposto agli operai di ritorno dai luoghi di orgine di restare in quarantena per almeno una o due settimane, per evitare che gli eventuali contagiati possano diffondere il virus sul posto di lavoro. 

IN CINA FINO A 1,7 MILIONI DI AUTO IN MENO PRODOTTE
L’istituto di ricerche Ihs Markit ha valutato l’impatto del Coronavirus sull’industria automobilistica cinese, di fondamentale importanza visto che si tratta del primo mercato mondiale, che per il 2020 aveva previsto una produzione di 23 milioni e mezzo di veicoli. Le stime sono di 350 mila unità perse (l’1,7% del totale) se lo stop fosse durato fino al 10 febbraio, ma il buco nella produzione potrebbe salire fino a 1,7 milioni – il 32% rispetto alle previsioni – nel caso di un blocco prolungato fino a metà marzo. Uno scenario da incubo, che potenzialmente può portare ad un’interruzione della catena di approvvigionamento cinese causata dalla carenza di pezzi di ricambio provenienti dal Hubei, uno dei principali hub della componentistica mondiale. E senza pezzi di ricambi l’assemblaggio dei veicoli, si ferma, non solo in cina, ma anche da altre parti del mondo, come dimostrano le chiusure degli impianti in Corea del Sud, in Giappone e, in misura minore, anche in Europa. 

UNDICI PROVINCE SU 31 HANNO POSTICIPATO LA RIAPERTURA
Delle trentuno province della Cina continentale, undici avevano annunciato che il ritorno al lavoro per tutte le attività non indispensabili sarebbe stato posticipato di una settimana rispetto alla fine delle vacanze del Capodanno cinese. Tra le regioni coinvolte ci sono Hubei, Shanghai, Guangdong, Chongqing, Zhejiang, Jiangsu, Anhui, Yunnan, Fujian, Jiangxi e Shandong, che insieme sono responsabili di oltre i due terzi della produzione di veicoli in Cina. Ora gli impianti stanno gradualmente riaprendo, ma le quarantene precauzionali disposte dalle autorità per gli operai di ritorno dalle regioni di origine sta fortemente rallentando il ritorno alla normalità. 

S&P: NEL I TRIMESTRE IMPATTO DEL 15% SU PRODUZIONE GLOBALE
L'industria della componentistica automotive cinese è un fornitore fondamentale di diversi gruppi automobilistici a livello globale e la chiusura degli impianti in Cina, decisa per limitare la diffusione del virus, secondo S&P Global Rating ridurrà almeno del 15% la produzione mondiale nel primo trimestre. Gli effetti a cascata sulla catena di approvvigionamento di tutta l'industria dell'auto non sono gli stessi ovunque. 

VOLKSWAGEN, NISSAN E HONDA I BIG PIÙ ESPOSTI
Tra i colossi dell'auto, la tedesca Volkswagen è uno dei big più esposti, visto che produce in Cina quasi il 40% della sua produzione (tra componenti e veicoli assemblati) in 23 stabilimenti. Il grosso degli impianti è concentrato nell'area di Shanghai, lontano dall'epicentro di Wuhan, ma fortemente soggetta a restrizioni e misure di sicurezza che ne rallentano l'attività. S&P ha stimato per quest'anno un forte calo delle vendite, anche perché il colosso di Wolfsburg è in assoluto la compagnia che vende di più in Cina (oltre 4 milioni di unità).

La seconda in classifica è Gm, che assembla il 19% della sua produzione in Cina, ma vende meno della metà di Vw. Tra le aziende più direttamente colpite ci sono le case giapponesi. Nissan fa il 30% delle sue vendite in Cina e il 31% della produzione e ha fatto del Dragone il perno della sua strategia di sviluppo per i nuovi modelli ibridi ed elettrici. Direttamente interessata è anche la sudcoreana Honda, che fa il 30% delle vendite e della produzione in Cina e che ha il grosso degli impianti a Wuhan, l'epicentro dell'epidemia.

Le sudcoreane Honda e Kia hanno temporaneamente sospeso la loro produzione in Corsea del Sud per mancanza di pezzi di ricambio. Impatto un po' minore su Toyota che fa in Cina il 15% delle vendite e il 16% della produzione. Sukuki sta prendendo in considerazione la possibilità di rifornirsi di componenti al di fuori della Cina. Per i due promessi sposi, Fca e Psa l'impatto è meno rilevante, sebbene abbiano già comunicato problemi per l'approvvigionamento e si parla di una possibile prossima chiusura di un impianto Fca in Serbia che assembla la 500L. Sul fronte della componentistica la situazione è critica,  in particolare per il colosso tedesco Bosh, che ha registrato ricavi per 14 miliardi di euro in Cina e che ha due impianti per la produzione di componenti elettriche nella 'zona rossa' di Wuhan. 

LA CINA NUMERO UNO MONDIALE BATTERIE PER AUTO ELETTRICHE
La Cina produce tra il 60 e il 70% di tutte le batterie al mondo, anche se il più grande produttore è un’azienda coreana, la LG Chem (che possiede diversi impianti in Cina). Inoltre in Cina si vende oltre la metà della auto elettriche prodotte nel mondo. Finora la produzione del settore non è stata influenzata dal coronavirus ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente se le misure di autoisolamento adottate dalle autorità continueranno.

TESLA ANNUNCIA UN RITARDO NELLE CONSEGNE DI FEBBRAIO
'impatto del coronavirus è arrivato a danneggiare Tesla, la cui capitalizzazione di Borsa a Wall Stret aveva superato i 100 miliardi di dollari, più di quella di Gm, Ford e Vw. La Gigafactory Tesla di Shangai è stata costretta a fermarsi per almeno una settimana, e interrompere così la produzione di Model 3 che ormai aveva giù raggiunto il ritmo di circa 150.000 esemplari all’anno, ovvero circa 2.800 a settimana. Questo stop alla produzione, voluto dal governo cinese con lo scopo di ridurre al massimo le possibilità di contagio del Coronovirus, comporterà per Tesla un ritardo nelle consegna dei veicoli già pronti previsti per il mese di febbraio, anche se Tao Lin, vicepresidente di Tesla China, non ha quantificato con esattezza i numeri in gioco.