(AGI) - Roma, 11 ott. - Mai una parola di pentimento per ilproprio passato, mai un'espressione di comprensione per levittime o le loro famiglie: per cento anni anni Erich Priebkee' rimasto fedele a se stesso, ed a quello che ha fatto. Cioe':aver partecipato al massacro delle Fosse Ardeatine, averpartecipato fin dai suoi inizi alla campagna di soppressionefisica degli oppositori politici del nazismo voluta da AdolfHitler in Germania, averla proseguita in Italia fino al giornostesso dell'arrivo degli americani a Roma il 4 giugno 1944. Lastoria dell'"uomo che spuntava la lista" inizia in un sobborgodi Berlino, negli anni immediatamente successivi alla disfattanella Prima Guerra Mondiale. Famiglia modesta, studi in unistituto alberghiero, un primo soggiorno a Londra ed uno aSanremo, come cameriere. Sembra che tutto inizi di li',dall'amicizia con un maestro di sci che lo introduce al verbodel nazionalsocialismo. Lui, Priebke, sostiene invece di esseresempre stato un uomo come tanti, un semplice esecutore diordini, uno che il poliziotto lo faceva perche' doveva sbarcareil lunario, ed in fondo si trattava di un mestiere onorevole. Il fatto e' che lui entrava nella polizia di Berlino, e subitodopo confluiva nella Gestapo: la polizia segreta del regime. Dipiu': come rivelo' all'epoca del processo l'AGI andando acercare nei National Archives di Washington, Erich Priebkevenne inquadrato nel Gestapa. Il Gestapa ("Geheim StaatspolizeiAmt") era l'ufficio preposto all'individuazione ed allaschedatura degli oppositori del regime nazista. Si trattavasoprattutto di comunisti, cattolici e socialdemocratici. Apartire dal 1937 le SS, cui Priebke aveva nel frattempoaderito, iniziarono a rastrellarli. Finirono, a decine dimigliaia, nel primo campo di sterminio del regime, quello diSachsenhausen. Sempre nel 1937 il Giovane Erich dette unaduplice svolta alla propria vita: sposo' la ragazza di cui erainnamorato e se ne ando' a Roma, a fare da interprete ad AdolfHitler in persona in occasione della visita ufficiale daMussolini. A Roma sarebbe tornato un anno dopo, questa volta inpianta stabile, alle dipendenze di Villa Wolkonski,l'ambasciata tedesca presso il Regno d'Italia. Qui conobbel'uomo al quale il destino lo avrebbe legato: Herbert Kappler,giovane ufficiale delle SS anche lui, anche se di un gradosuperiore. Cosa facessero in realta' i due a Roma non si sabene. Si sa che ad un certo punto un autorevole esponente dellanobilta' nera romana gli affitto' per pochi soldi unapalazzina, uso ufficio, nei pressi di San Giovanni. A ViaTasso, dopo l'Otto Settembre, i capi della Resistenza romanavenivano portati, torturati, qualche volta costretti aconfessare. Spesso morivano. In fondo lo stesso mestiere, perPriebke, dei tempi del Gestapa. Lui e Kappler stavano percorrendo a piedi la breve stradache unisce Villa Wolkonski a Via Tasso, il 23 marzo 1944,quando seppero dell'attentato a Via Rasella. Hitler ordino'prima la distruzione di Testaccio e San Lorenzo, poi si opto'per la rappresaglia del 10 a 1: dieci fucilati per ogni tedescoucciso. A fare la lista, nel corso di una notte, fu Kappler.Priebke batteva a macchina. Si scelse prima tra iTodeskandidaten, quelli che tanto avrebbero dovuto morirecomunque. Non bastavano: si decise di svuotare tutto ilcarcere, lasciando quelli le cui confessioni eventuali potevanoservire al lavoro di intelligence politica. Ma a moriredovevano essere in 330, ed anche cosi' la lista non eracompleta. C'erano degli ebrei appena rastrellati, tra cui isette Spizzichino. Sul camion, anche loro. Ma ancora restavanodei posti vuoti. Kappler e Priebke andarono dal prefettorepubblichino di Roma, Caruso, che consegno' una serie dicriminali comuni, o solo gente in normale stato di fermo. Allafine sui camion finirono in 335, contro i 330 inizialmenteprevisti. L'organizzazione di Via Tasso aveva funzionato anchetroppo efficacemente. Nemmeno 24 ore dopo l'attentato di ViaRasella quattro camion partirono da Via Tasso e Regina Coeli,presero l'Appia Antica e girarono a destra, sull'Ardeatina. Quic'erano delle vecchie cave di tufo, utilizzate l'ultima voltaalla fine dell'Ottocento. I prigionieri venivano fattiscendere, legati gli uni agli altri per le mani, a gruppi dicinque. Priebke spuntava i loro nomi dalla lista. Loroentravano nella grotta, si avvicinavano cinque SS, puntavano ilfucile alla nuca e sparavano. Agli ufficiali tocco' il primoturno di prigionieri: dovevano spronare la truppa a farealtrettanto. Una volta eliminato un gruppo di condannati, ilsuccessivo entrava, era costretto a salire sui corpi di quantierano gia' stati uccisi, poi le cinque SS appoggiavano la cannadel fucile alla nuca e sparavano. Gli ultimi entrarono chequasi non c'era piu' posto: la catasta dei morti arrivava finoal soffitto. Furono costretti a salire fino in cima. Uccisianche loro, i nazisti se ne andarono facendo saltare l'ingressodella cava. Non mancarono di buttarci davanti un mucchio diimmondizia, per coprire l'odore. Il massacro venne scoperto, tempo dopo, da un gruppo dibambini che si era avventurato nella zona per giocare. Alprocesso, cinquant'anni dopo i fatti, Priebke si difendera'dicendo di essersi limitato a spuntare i nomi dalla lista. Magia' Kappler, che nell'Italia del dopoguerra era statoarrestato, condannato, ricoverato al Celio e che aveva fatto intempo a fuggire con l'aiuto della moglie per morire libero inAustria, aveva confermato che anche gli ufficiali avevanosparato. Le ricostruzioni provano poi che ci fu il caso di uncaporale, Wetjen, che ad un certo punto si rifiuto' dicontinuare. Kappler gli mise la mano sulla spalla, lotranquillizzo', e lo indusse a continuare. Ma per quell'atto diinsubordinazione il Caporale Wetjen non venne mai punito. Perristabilire l'ordine Kappler ordino' un altro giro diesecuzioni anche per gli ufficiali. Tutti spararono una secondavolta. Il 3 giugno successivo si sparse la voce che gli Alleatierano alle porte di Roma. Per tutta la notte gli abitanti delquartiere San Giovanni videro alzarsi lunghe lingue di fuocodal giardino retrostante la prigione di Via Tasso: eranoPriebke a Kappler che bruciavano le carte dell'archivio. Lamattina susseguente gli americani entrano dall'Appia e dallaCasilina, loro fuggono dalla Cassia, verso nord. Si dividono.Priebke continuera' nella sua opera prima a Verona e poi aBrescia. Dopo la guerra Priebke spari' di circolazione. Fini' aBolzano, dove si fece battezzare da cattolico, poi con unpassaporto ottenuto probabilmente grazie alla complicita' diMonsignor Hudal (il parroco della Chiesa di Santa Maria dellaPace a Roma, che per questo genere di attivita' non venne mairicevuto in Vaticano da Pio XII) si imbarco' a Genova su unanave diretta a Buenos Aires. Qui il cerchio sembra chiudersi,perche' Priebke torna al mestiere di gioventu': un giornalistaitaliano lo incrocia per caso, nel 1954, in un bistro' dellacapitale argentina. Serve ai tavoli. Pochi anni dopo sitrasferisce con tutta la famiglia a San Carlos de Bariloche, inmezzo alle Ande argentine che proprio in quegli anni ispirano aWalt Disney la meravigliosa foresta di Bambi. Inizia una nuovavita, trova la prosperita', possiede una clinica privata. Lamattina del 12 maggio 1994 una troupe americana lo ferma per lastrada. "E' lei Erich Priebke?", chiede Sam Donaldson dellaAbc. "Si'", risponde lui. E' il momento dei conti con lastoria. Il doppio processo in Italia si conclude con lacondanna ad una lunga pena detentiva, da scontare agli arrestidomiciliari. Lui viene ospitato sulle prime in un convento, poiil suo procuratore lo porta a casa sua, in un piccoloappartamento di un quartiere romano. E' la meta' di un dicembredi qualche anno fa. I vicini di casa lo accolgono con unostriscione sulla facciata del palazzo: "Buon Natale,assassino".(AGI).