AGI - Prima la prova d’attore per attirare in trappola il nemico, poi il lampo di genio del condottiero per una vittoria folgorante. Il 2 dicembre 1805 ad Austerlitz, l’attuale Slavkov u Brna, Napoleone metteva la firma sulla sua più eclatante vittoria. L’imperatore dei francesi era stato audace come sempre e assolutamente astuto per spingere l’esercito austro-russo a dargli battaglia in Moravia, nella piana che aveva scelto con l’intenzione di distruggere in un colpo solo sul fronte terrestre la Terza coalizione di cui faceva parte anche la Gran Bretagna, con Regno di Napoli, Regno di Sicilia e Svezia. Sul campo c’erano quasi 160.000 soldati.
Le aquile della Grande Armée sui cieli di Vienna
Quella guerra era stata iniziata a settembre da Francesco II d’Asburgo-Lorena invadendo la Baviera alleata della Francia, mentre l’esercito russo dello zar Alessandro I si metteva in marcia per congiungersi a quello austriaco agli ordini del principe generale Mikhail Kutuzov nominato comandante delle forze alleate. Napoleone aveva reagito inviando nel cuore dell’Europa l’Armée d’Angleterre, il grande esercito addestrato per l’invasione dell’Inghilterra poi annullata per il disastro navale di Trafalgar. Le forze austriache erano state sbaragliate dalla manovra francese e le aquile imperiali napoleoniche sfilavano in trionfo per le vie di Vienna non più difendibile dagli asburgici. Napoleone però aveva bisogno di una vittoria decisiva, sia per l’allungamento delle linee di rifornimento, sia per il logoramento della campagna invernale.
La strategia di Kutuzov respinta dagli austriaci
Kutuzov aveva intelligentemente compreso la necessità dell’imperatore di dover provocare lo scontro aperto e generale, e aveva strategicamente deciso per una ritirata che lo mettesse in condizioni di logorare il nemico affrontandolo su un campo di battaglia più interno dove prevedeva di poterlo annientare. Ma gli alleati non lo seguirono nel suo piano. Napoleone ad Austerlitz, dove si era attestato, voleva che fossero gli austro-russi, in superiorità numerica (quasi 90.000 contro 73.000), ad attaccarlo, invece che prendere lui l’iniziativa in condizioni sfavorevoli. E fece in modo che trovassero irresistibile l’occasione che lui stesso aveva disegnato per attirarli in una trappola letale, cominciando con l’ordinare un arretramento e facendo assumere alla sua Grande Armée uno schieramento difensivo.
La recita davanti all’emissario dello zar Alessandro I
Il 25 novembre Napoleone aveva inviato il generale Savary al campo nemico con l’offerta di una tregua, che venne ovviamente interpretata come un segnale di debolezza e di volontà di sottrarsi allo scontro. L’imperatore Francesco II due giorni dopo propose un armistizio che Napoleone accolse pubblicamente con insolita gioia ordinando nel contempo una manovra di ripiegamento da Austerlitz e di abbandono dell’altopiano di Pratzen, raccomandandosi di farlo con confusione. Agli osservatori austro-russi sembrò l’ennesimo dettaglio di una situazione a loro favorevole e gli alleati si affrettarono a prendere possesso delle strategiche alture. L’ultimo colpo di genio, da attore consumato, Napoleone lo tirò fuori il 28 novembre nel ricevere il portavoce di Alessandro al quale aveva fatto sapere di volere un incontro personale con lo zar.
Questi riferì che Napoleone si era materializzato uscendo da un fossato, completamente inzaccherato di fango e malmesso, gli era apparso preoccupato e ansioso di giungere a un accomodamento, addirittura timoroso nonostante avesse rifiutato le proposte che gli erano state recapitate, peraltro inaccettabili. Alessandro si convinse che l’esercito francese era demoralizzato e il suo comandante, non in grado di affrontare una battaglia, cercava una soluzione negoziale. Ma la posizione difensiva francese consentiva il controllo di Austerlitz, della via per Olmütz (Olomouc) e della strada per Vienna, che faceva parte del suo piano. L’imperatore dei francesi doveva adesso offrire una grossa esca agli austro-russi che avrebbero certamente abboccato, perché già mostravano l’ardore di battersi e infatti Kutuzov era stato esonerato dal comando generale passato a Franz von Weyrother.
Scatta la trappola letale studiata a tavolino
Celando l’arrivo a tappe forzate di un corpo d’armata partito da Vienna, con la manovra Napoleone fece credere che l’esercito francese fosse inferiore almeno di un terzo di quello che era in realtà, e pure con un fianco scoperto, spingendo il nemico a scendere dall’altopiano di Pratzen per attaccarlo proprio dove voleva lui, per non farsi sfuggire una facile preda. La battaglia iniziò alle 8 del 2 dicembre. Tutti gli ordini vennero dati a voce a marescialli e generali, e per questo su Austerlitz non abbiamo nessuna testimonianza documentale.
La prevista riconquista francese del Pratzen avrebbe diviso in due le forze alleate e non ci sarebbe stata più storia, anche per la qualità delle truppe combattenti. Una fitta nebbia proteggeva la punta di lancia francese preparata per sferrare il colpo letale, lasciando che gli austro-russi ignorassero l’esistenza di un corpo d’armata di ben 17.000 uomini. Quando il sole dissolse la foschia lattiginosa, Napoleone pronunciò la frase che è entrata nella storia, invitando i suoi soldati ad ammirare «il sole di Austerlitz» presago di una grande vittoria. Tutto, in quella strategia di battaglia, si era incasellato, tutte le tempistiche erano state rispettate e tutte le linee d’azione messe sistematicamente in pratica secondo il piano dello stratega. La trappola era perfetta e per gli austro-russi non ci fu scampo.
La pace di Presburgo e la fine del Sacro Romano Impero
Quando il sole di Austerlitz era tramontato dopo aver illuminato il trionfo francese, gli unici soldati dell’imperatore Francesco II e dello zar Alessandro I rimasti sul terreno erano i morti, i feriti e i prigionieri. Tutti gli altri erano in rotta, e il capolavoro napoleonico non fu totale solo perché con la fuga disordinata si erano sottratti al totale annientamento sul campo di battaglia. Gli alleati avevano perso circa il 40% dell’intero esercito. Quella notte di vittoria Napoleone la trascorse su un letto di paglia di una vecchia stazione di posta.
L’indomani fu raggiunto dall’arciduca Giovanni che gli presentava la resa dell’esercito austriaco, sbandato e tallonato dai francesi per distruggerlo. L’imperatore chiese di vedere Francesco II, da pari a pari: l’Asburgo dell’antica dinastia europea e il parvenu parlarono davanti al fuoco di un bivacco, il 4 dicembre, e una lapide lo ricorda. Il 6 nel castello di Slavkov veniva sottoscritto l’armistizio sancito il 26 dalla pace di Presburgo che stabiliva la fine del Sacro Romano Impero, la cacciata degli austriaci dall’Italia e la nascita della Confederazione germanica sotto tutela francese e in funzione antiprussiana.