Tutte le tappe del sequestro Soffiantini, l'ultima zampata dell'Anonima
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Tutte le tappe del sequestro Soffiantini, l'ultima zampata dell'Anonima

Tutte le tappe del sequestro Soffiantini, l'ultima zampata dell'Anonima

 Giuseppe Soffiantini
 Giuseppe Soffiantini
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  • 17 giugno 1997: sono da poco passate le 22 quando tre uomini armati, con il volto coperto, fanno irruzione nella villa dei Soffiantini a Manerbio, a una ventina di chilometri da Brescia. Prima di allontanarsi con l'imprenditore, legano la moglie, Adele Mosconi, 59 anni, in cantina. Uno dei tre (che dopo l'arresto si scopriranno essere Mario Moro, Giorgio Sergio e Osvaldo Broccoli) le dice: "Presto te lo facciamo ritrovare". I sequestratori guadagnano dieci ore di vantaggio, l'allarme viene dato solo la mattina seguente, quando il giardiniere e la cameriera trovano la donna legata e imbavagliata.
  • 18 giugno 1997: La famiglia Soffiantini, attraverso il figlio maggiore dell'imprenditore, Carlo, lancia un appello ai rapitori: "Non fate del male a nostro padre, è malato di cuore, necessita della somministrazione quotidiana di un farmaco salvavita". Il giorno dopo viene chiesto il silenzio stampa sulla vicenda.
  • 7 luglio 1997: parte la trattativa. Tra la corrispondenza accumulata in due settimane di vacanza, Monsignor Gennaro Franceschetti, il parroco di Manerbio in procinto di assumere la guida della diocesi di Fermo, trova una busta, spedita il 25 giugno da Codogno, in provincia di Lodi, che contiene un ritaglio di giornale del 24 giugno e un messaggio firmato dallo stesso Soffiantini. Nella missiva, la prima richiesta di riscatto (20 miliardi di lire) e le prime indicazioni per stabilire un contatto coi sequestratori. La trattativa prosegue attraverso alcune inserzioni sui quotidiani, cui seguirà, l'ultima settimana di luglio, un'altra lettera indirizzata a un ristoratore amico dei Soffiantini, nella quale la richiesta verrà dimezzata.
  • 10 settembre 1997: trascorso il mese di agosto nel silenzio più assoluto, i sequestratori si rifanno vivi lasciando un plico vicino ai 'Grandi Magazzini Mari' di via Tiburtina, a Roma. Nel pacco sono contenuti un messaggio, un'audiocassetta e tre fotografie di Soffiantini, che lo ritraggono molto provato.
  • 12 settembre 1997: i figli dell'imprenditore rompono il silenzio lanciando un appello ai rapitori perché temono per le condizioni di salute del padre e si dicono disponibili a pagare il riscatto "nonostante gli impedimenti dovuti al blocco dei beni". Nei giorni successivi, la trattativa prosegue. A un conoscente dell'ostaggio arriva la nuova lettera dei sequestratori con un'altra fotografia in cui l'aspetto dell'imprenditore è migliore. Viene indicato il luogo, il tragitto da compiere e tutte le istruzioni da seguire per il pagamento del riscatto.
  • 17 ottobre 1997: Sequestratori e investigatori si trovano 'faccia faccia' nel luogo convenuto, sulla Statale Tiburtina, allo svincolo per Riofreddo, comune di Avezzano. Qualcosa va storto, il blitz delle Forze dell'Ordine fallisce e l'ispettore Samuele Donatoni rimane ucciso. La notte dopo viene fermato l'autista della banda, Agostino Mastio, sardo residente in Romagna, che viene convinto a collaborare e si presta a fare da esca per attirare in una trappola i tre complici ancora nascosti in zona. In base alle sue indicazioni, partono le ricerche per l'individuazione del 'covo' dei sequestratori in Toscana.
  • 20 ottobre 1997: Mastio porta gli investigatori all'appuntamento coi complici, al km 61 dell'autostrada Roma - L'Aquila. Scatta il blitz che porta all'arresto di Mario Moro (gravemente ferito nella sparatoria, morirà a gennaio), Giorgio Sergio, Osvaldo Broccoli e dello stesso Mastio. Nelle stesse ore vengono arrestate altre 4 persone, tra cui il telefonista e il basista, e interrogate decine di persone.
  • 23 ottobre 1997: dopo 3 giorni di voci, conferme e smentite sulla liberazione di Soffiantini, la famiglia chiede che venga ripristinato il silenzio stampa "perché si possa continuare a sperare".
  • 25 ottobre 1997: nel bosco vicino a Montalcino, viene trovato il 'covo' dove l'ostaggio sarebbe stato tenuto prigioniero.
  • 30 ottobre 1997: la magistratura bresciana emette due ordini di arresto per Giovanni Farina e Attilio Cubeddu, considerati i carcerieri dell'imprenditore.
  • 6 novembre 1997: alla famiglia giunge una nuova lettera dei rapitori a firma dello stesso Soffiantini, nella quale vengono dettate le nuove condizioni per un contatto e per il pagamento fissato in 10 milioni in dollari.
  • 19 novembre 1997: i sequestratori si rifanno vivi con un 'avvertimento' e un messaggio: avvolto in un preservativo, un lembo dell'orecchio sinistro, e sul foglio che lo accompagna un ultimatum: "Pagate entro il 20 dicembre, altrimenti uccideremo l'ostaggio". La richiesta sale a 11 milioni.
  • 9 febbraio 1998: Soffiantini viene liberato a Impruneta, vicino a Firenze. La famiglia ha pagato un riscatto di 4 milioni di dollari, l'equivalente di 5 miliardi di lire. Soldi mai ritrovati.
  • 14 aprile 1998: viene arrestato a Roma il generale dei carabinieri, Francesco Delfino, accusato di concussione, poi derubricata in truffa, perché avrebbe garantito ai familiari di poter intercedere coi rapitori. Verrà condannato a 3 anni e 4 mesi di carcere.
  • agosto 1998: Farina viene arrestato in Australia e condannato poi a 28 anni di carcere. Pur ritenendo giusta la sua condanna, Soffiantini cercò di renderla meno dura, procurandogli una macchina per scrivere e, in seguito, pubblicandogli un libro di poesie.
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