AGI - "Ho utilizzato un seghetto e un lenzuolo per contenere il sangue e poi l'ho sezionato in tre pezzi: non ci sono stati schizzi, per questo i carabinieri hanno trovato tutto in ordine". Cosi' Lorena Venier ha raccontato al Pm la drammatica sequenza da lei messa in atto per uccidere il figlio Alessandro di 35 anni nella loro casetta di Gemona del Friuli, presente anche la convivente dell'uomo Mailyn Castro Monsalvo. La giovane sarebbe intervenuta in precedenza per strangolarlo con i lacci di un paio di scarpe. Poi la Venier lo ha posizionato sul lenzuolo "per sezionarlo, spostare le tre parti e per permettere" successivamente a Mailyn "il trasporto nell'autorimessa" dove c'era il bidone "nel quale doveva decomporsi".
"Mi sono occupata personalmente di questa cosa" ha aggiunto Loredana Venier. "Una volta inseriti i resti nel barile, lei ha anche usato la calce viva per coprirli". Le parti sezionate sarebbero dovute restare li' fino a quando, consumate, avrebbe potuto trasportarle in montagna, "per disperderle nel bosco, come da desiderio dell'uomo confidato a tutti".
È stata la fidanzata a chiamare il 112
"È stata Mailyn a chiamare il 112: il piano era quello di attendere e poi far sparire i resti, ma lei ha avuto una crisi". Cosi' Lorena Venier nella ricostruzione di quanto avvenuto il 31 luglio, quando la giovane nuora chiede l'intervento dei Carabinieri per l'uccisione del compagno.
Tra le due donne ci sarebbero stati anche momenti di tensione. Subito dopo aver chiamato il 112, Mailyn, parlando in maniera poco chiara, aveva denunciato: "Mia suocera ha ucciso il figlio".
Poi si sente un litigio: "No, Lorena, no". Forse Lorena Venier aveva tentato di strapparle il telefono di mano. Sulle sue braccia sono stati individuati alcuni lividi.
I carabinieri poco dopo avevano raggiunto la villetta dove trovano Lorena con la nipotina in braccio e la nuora Mailyn in stato confusionale, tanto che i militari dell'Arma chiedono l'intervento di un'ambulanza perché le due donne avevano avuto un mancamento e avevano bisogno di soccorso.
Al momento di Mailyn non c’è ancora un verbale ufficiale, anche perché a Trieste la donna aveva avuto un malore e il pm non ha potuto raccogliere la sua versione sull'accaduto. Poi nella successiva udienza di convalida dell'arresto, a Udine, su consiglio del difensore, Federica Tosel, si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Certo è che se nella prima telefonata la giovane nuora aveva accusato la suocera del delitto, successivamente con i militari dell'Arma, seppure con dichiarazioni che non potranno essere utilizzate nel processo, si sarebbe assunta le proprie responsabilità nell'omicidio. Tutto quindi sarebbe opera di entrambe, tanto che più volte Lorena Venier ha ribadito che la nuora è stata l'istigatrice e lei l'organizzatrice. Un quadro investigativo ancora incerto di una vicenda che per adesso ruota solo attorno alla sola confessione della madre di Alessandro Venier. Ora i legali attendono l'esame autoptico sul corpo di dell'uomo al quale parteciperà anche un perito della difesa.
Legale, perizia psichiatrica per la mamma di Alessandro
"Lorena Venier" l'infermiera di 61 anni che ha ucciso e fatto a pezzi il figlio Alessandro, di 35 anni, "dovrà essere sottoposta a perizia psichiatrica". Ne è convinto il suo avvocato difensore, Giovanni De Nardo, che in queste ore incontrerà la propria assistita nel carcere femminile del Coroneo a Trieste.
La 61enne aveva dei problemi neurologici, e di recente si era sottoposta a un intervento per la riduzione dello stomaco. Una situazione che l'aveva segnata. La donna è guardata a vista dagli agenti di Polizia penitenziaria.
Meno probabile che venga indicato anche un consulente dalla difesa della mamma: "La ricostruzione fatta è quanto mai precisa e c’è piena assunzione di responsabilità", ha fatto sapere il suo avvocato De Nardo. Le parole di Lorena Venier spiegano anche che non è stato coinvolto nessun altro nel disegno criminale: "Pensavamo - ha detto agli inquirenti - di poter fare tutto da sole, una volta sezionato, sarebbe bastato attendere che si consumasse prima di portarlo in montagna". È emerso anche che su Alessandro Venier, l'uomo ucciso e fatto a pezzi, pendeva una condanna che stava per diventare esecutiva e che gli avrebbe impedito l'espatrio, dopo una serie di piccoli reati commessi in tempi diversi. Per questa ragione avrebbe affrettato il trasferimento definitivo in Colombia assieme alla convivente e alla loro bambina.
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