AGI - Non solo colpevoli ma anche innocenti. Tra i tanti “cattivi” da scovare, talvolta gli specialisti del Reparto analisi criminologiche (Rac) del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Racis) indicano agli inquirenti anche incolpevoli da “salvare”. È il caso della signora X, residente in un centro Y d’Italia e finita nell’anno Z al centro di una brutta storia.
Ricordare nomi e date rigetterebbe nel panico chi è uscito dal gorgo delle indagini e della cronaca. E, peraltro, dal 1° gennaio 2023 lo prevede anche la legge Cartabia all’articolo 64-ter sul “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte a indagini”: “La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione – recita il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022 - può richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento”.
La vicenda in questione riguarda la morte, a nemmeno un anno di età, della prima e unica figlia di una giovane coppia. I genitori sono persone colte e affermate. Non è stato un incidente: l’ha soffocata lei, la madre, la signora X. Come? Nel modo più frequente in queste tragedie: le ha premuto un cuscino sulla faccia sino a toglierle la vita.
I processi sono finiti con l’assoluzione della donna riconosciuta dai giudici incapace, in quel momento, di intendere e di volere perché affetta da una grave depressione post-partum. Per giungere alla sentenza sono stati gli esperti del Rac a fornire alla Corte gli elementi che servivano a prendere e sostenere la decisione.
Ma quali sono stati? La ragione più forte evidenziata dai carabinieri della sezione “Psicologia investigativa” è nell’ultima parte del loro rapporto: “Completo fallimento dell’attività preventiva di monitoraggio e presa in carico”. Vale a dire, tremendo flop dei servizi sanitari nel loro complesso.
Dopo il parto, la signora X non nascondeva i suoi turbamenti: diceva di sentirsi madre inadeguata, di aver sbagliato tutto, che la figlia era motivo di angoscia e non di gioia. E i suoi malesseri li aveva detti e ripetuti a tutti i professionisti che l’avevano visitata: medico di famiglia, psicologo, psicoterapeuta, psichiatri. Una galleria di non pochi personaggi ascoltati anche dagli esperti dei carabinieri, che hanno subito inquadrato il caso: “Disagio psicologico patito ed esternato dall'indagata fin dei primi giorni successivi alla nascita della piccola. Eccessivi timori per la salute psicofisica della piccola”.
Partendo dall’inizio, accaduta la tragedia i magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale K vogliono capire bene come sono andate le cose e chiedono la partecipazione alle indagini “di personale specializzato del Reparto al fine di escutere i medici psichiatri che avevano in carico la donna, analizzare lo stato emotivo e post traumatico dell’indagata, ricostruire le fasi della criminodinamica e il contesto socio-familiare”.
Quindi, scattano le indagini. Il primo a essere sentito è uno psichiatra di un’Azienda sanitaria locale del posto. I militari trascrivono la sua diagnosi: “Una relazione madre-bambina fortemente disturbata in modo instabile”. E aggiungono la cura da lui prevista e anche alcune sue considerazioni. Ovvero: “Le aveva prescritto farmaci e non aveva mai temuto che lei potesse farsi o fare del male”.
Con annesso, però, un avviso al marito: “Non lasciare mai la bambina sola con la madre”. Poi è la volta del medico di base. Stando sempre ai rapporti del Rac, questi non fa granché, “integra la terapia dello psichiatra”. Dopodiché, in più occasioni con la donna si messaggia soltanto. L’ultimo sms qualche ora prima della tragedia: “Tranquilla, ne uscirai alla grande”.
La sfilata di camici bianchi prosegue. Marito e moglie consultano lo psichiatra di un Centro di salute mentale. Anche la sua valutazione viene trascritta dai militari: “La donna aveva un umore depresso, una rigidità di pensiero, oltre che a pensieri negativi – è il pensiero - nel senso che non si sentiva pronta per essere madre”. Inserendo anche altro del racconto del medico. La signora X gli aveva detto “che in periodi precedenti aveva avuto due episodi con l'impulso di sopprimere la propria figlia”.
Un abisso dove la poveretta stava precipitando e di fronte al quale il clinico aveva “prospettato la possibilità di un ricovero”. Però, niente da fare: lei aveva rifiutato, lo specialista ne aveva preso, però, avvertendo anche lui il consorte: “Mai lasciarla sola con la bambina”.
La giostra continua: un altro psicoterapeuta, stavolta di poche parole: “La donna non era in grado di assolvere alcuni compiti della sua vita”. Punto. Dunque, l’ultimo della lista, un sanitario davvero ottimista. Ci va il marito sempre più angosciato. Stando al resoconto dei carabinieri, il dottore lo tranquillizza: “Una volta conclusosi l’episodio depressivo – queste le sue parole appuntate dal Rac - non ci sarebbero state ricadute”. Il coniuge insiste, vorrebbe che il medico fosse preoccupato come lo è lui. Gli dice che un giorno ha trovato la moglie con un coltello in mano desiderosa di uccidere lui, la figlia e anche lo psichiatra.
Ma il dottore non si allarma. Secondo lui la donna non va presa sul serio. “Mi ha detto che questo la salvava”, racconta il marito ai militari. Sulla base di un ragionamento: la verbalizzazione dell'idea e il fatto di sapere che fosse una cosa brutta avrebbe fatto in modo che non la mettese in pratica. Più chiaramente: se lo dice, non lo fa.
Morale: dei tanti bravi dottori interpellati, nessuno è riuscito a contenere la donna e mettere la piccola al riparo. Il finale ha del paradosso: in sentenza i giudici hanno assolto, nelle loro conclusioni gli esperti del Rac hanno accusato. “La povera bimba – scrivono i carabinieri del Reparto analisi criminologiche - ha trovato la morte, profilando una situazione di grande sofferenza psichica della mamma e di completo fallimento dell’attività preventiva, di monitoraggio e presa in carico dei segnali di rischio evidenti e significativi che la donna aveva mostrato, narrato e agito.
L’indagata – continuano – aveva da subito chiesto ausilio e condiviso con familiari e sanitari le sue angosce e le sue paure in riferimento alla sua maternità, fino a riuscire addirittura a ‘leggere’ in se stessa – si sottolinea - un sentimento avversativo orientato verso la sua piccola e che l’ha portata, nel breve periodo di vita della bimba, ad ammettere di percepirsi inadeguata, di aver provato a far del male alla figlia e di non volerla.
La madre – rimarcano gli analisti - non ha avuto timore di aprirsi al confronto e di mostrare i suoi istinti negativi, non ha cercato di costruire un’immagine di buona madre da mostrare agli altri. Ha umilmente, e con probabile enorme sofferenza interna, mostrato i suoi veri sentimenti. Probabilmente – considerano - ha avuto l’impressione di trovarsi senza altre soluzioni”.
Infine, la stoccata: “Dal punto di vista meramente investigativo di responsabilità dei vari attori intervenuti nella vicenda - terminano i carabinieri - appaiono meritevoli di ulteriore approfondimenti i sanitari pubblici e privati che, a vario titolo, hanno preso in carico la donna”.