AGI - Si parlava di pazienti morti, lei era infermiera in quel reparto eppure mostrava “inespressività, assenza di attivazione emotiva, abulia”. Eccoli rivelati. Sono i “segreti” della relazione dei carabinieri psicologi del Reparto analisi criminologiche (Rac), oggi accessibili all’Agi. L’indagine riguardava i decessi avvenuti negli anni 2014-2015 di alcuni pazienti all’ospedale Villa Marina di Piombino, nel Livornese.
Arma del delitto: somministrazione di dosi letali di eparina, farmaco anticoagulante, considerato “non coerente” – scrivono i giudici - con le patologie” di cui le vittime erano affette. Per fare luce sull’accaduto erano stati coinvolti negli accertamenti gli specialisti della sezione “Psicologia investigativa” del Rac, una delle squadre operative del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Racis).
E quel giorno, la signora che gli esperti avevano davanti era proprio una delle sanitarie di quella struttura: Fausta Bonino, nata a Savona, classe 1961 – sposata, due figli (uno è medico) – all’epoca dei fatti occupata nell’Unità operativa di Anestesia e rianimazione del nosocomio.
Il 18 febbraio 2025 la Cassazione ha condannato la donna all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso, dieci anni prima, quattro ricoverati. Per gli esperti di profilazione criminale, in questi casi la tipologia dell’omicida va sotto il nome di “angelo della morte”. Ovvero, spiega l’Associazione italiana di psicologia giuridica, “chi uccide, spesso negli ospedali e nelle case di cura, i malati di cui si occupa”.
Intervistata più volte, Fausta Bonino si è sempre dichiarata estranea ai fatti e, in certi gradi del processo penale, anche i giudici l’hanno pensata come lei dando la spinta a un’estenuante altalena tra colpevolezza e innocenza. A fine marzo 2016 la donna viene arrestata per l’ipotesi di aver commesso tredici omicidi; un mese dopo il Riesame la libera.
Sospiro di sollievo. Per poco, però, perché a settembre dell’anno seguente la Suprema Corte annulla il rilascio e lei rifinisce in cella. Colpevole? Forse, comunque è innocua, dicono gli Ermellini. Per cui, ancora scarcerazione. Dopodiché, discese e fughe dall’inferno: nell’aprile 2019 l’infermiera subisce l’ergastolo, non per tredici bensì quattro omicidi. Passano tre anni e la Cassazione dispone l’appello bis. Nel 2024 la sentenza dice ergastolo e un anno dopo la Suprema Corte conferma.
Senza volerlo, la sequenza di verdetti ha reso lunga e tortuosa la strada per la giustizia. Invece, non è mai cambiata la conclusione sulla vicenda stilata dal Rac, confezionata valutando comportamenti e reazioni dell’indagata nell’affrontare le domande cruciali dell’inchiesta.
A fine ottobre 2015 gli specialisti interrogano la sanitaria negli uffici del Nucleo antisofisticazioni e sanità di Livorno: infatti agli inizi del mese sono stati i militari del Nas ad aver saputo da una “fonte confidenziale” che da circa tre anni si verificavano strane morti all’ospedale di Piombino.
Il primo colpo d’occhio è all’arrivo. “La Bonino – scrivono i carabinieri psicologi – ha mostrato un atteggiamento di chiusura e diffidenza ed è venuta accompagnata da una sua conoscente, avvocato, che si è presentata in veste di persona di sua fiducia e non di legale”.
Poi si comincia a scendere nei dettagli. “Durante il colloquio – continuano i militari – in talune circostanze la donna ha manifestato dissonanze comunicative tra il contenuto verbale e non verbale di alcune dichiarazioni come, a titolo esemplificativo, il sorriso fermo e non espressivo mostrato in concomitanza delle vicende occorse a due pazienti deceduti”.
L’attenzione degli esperti aumenta quando si passa a parlare degli omicidi, dei ricoverati deceduti per la somministrazione dolosa di eparina. “Per buona parte dell’incontro – precisa il documento dell’Arma – l’infermiera ha negato questa eventualità e che qualcuno volontariamente avesse somministrato il farmaco letale, sostenendo altre possibili cause, poco logiche e poco compatibili con la sua pluriennale esperienza di operatore sanitario”. Cioè, immaginando “interazioni con i farmaci, il freddo nella sala operatoria, le pregresse condizioni dei malati” e proseguendo.
Frasi gravi davvero? Le congetture avanzate da Fausta Bonino non sono quelle che potrebbe fare chiunque? Il senso profondo intravisto dagli specialisti del Reparto è un altro. “L’escussa – ipotizzano gli psicologi - ha posto in atto una vera e propria negazione della realtà, orientandosi su un piano di ipotesi ingenue e da non ‘addetta ai lavori’”.
Dunque, la precisazione: “Ciò che è sembrato emergere nel comportamento – si osserva ancora - è stata l’assenza di attivazione emotiva rispetto agli eventi oggetto di indagine e alle ipotetiche motivazioni dell’ignoto autore”. In un solo caso – secondo gli specialisti - la donna avrebbe infranto la sua iniziale imperturbabilità.
L’atteggiamento – insistono – “è sembrato venir meno solamente in relazione al proprio trasferimento, momento nel quale la stessa ha espresso rabbia, risentimento e dolore. Ciò – è la considerazione finale suggerita - potrebbe essere dovuto a un meccanismo di difesa di tipo spostamento, nel quale l’escussa cerca di allontanare dalla sua mente le preoccupazioni molto più gravose e ingenti rispetto al suo essere oggetto di attenzione giudiziaria, trasferendo tutto il suo investimento emotivo e ansiogeno sul problema ‘trasferimento’”. L’angelo ha perso le ali.