AGI - Il settore della ristorazione deve fare i conti con la mancanza di personale complicata dalla fuga di giovani dalle scuole alberghiere. Lo rivela il Rapporto 2022 dell’Osservatorio Ristorazione, diffuso in occasione del Forum della Ristorazione in corso a Padova.
Secondo la ricerca, l’anno scolastico con il maggior numero di iscritti è stato il 2014/2015, con 64.296 nuovi studenti. Il 2021/2022 ha invece visto iscriversi solo 34.015 giovanissimi aspiranti operatori del settore, -47,1%.
Per l’Osservatorio, questa fuga di capitale umano dal settore è frutto di una complessa concomitanza di cause, riassumibili nella disillusione rispetto al modello di ristorazione “patinato” raccontato dai media e dalla stessa categoria, che raramente corrisponde a realtà, nella tendenza di millennials e Gen Z ad abbandonare il posto fisso per avviare attività in proprio, complice la nascita di nuove professioni in grado di ottenere risultati migliori in meno tempo e nella diffusione ancora capillare di contratti capestro, condizioni lavorative alienanti e ritmi faticosi.
“Questo clima di sfiducia e diffidenza – sottolinea Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione - va combattuto facendo sistema e ripensando il settore per attirare e, soprattutto, trattenere i più giovani, aprendo a figure professionali più consone alle competenze e alle aspirazioni dei nativi digitali e ridisegnando orari e modalità di lavoro. Lo stesso contratto nazionale andrebbe rivisto per stimolare l’appeal del mondo ristorativo.”
In Italia un’attività ristorativa ogni 166,6 abitanti
Le realtà attive dotate di cucina nel 2021 sono 196.031, 140.213 quelle senza cucina, come bar e caffetterie, mentre si contano 4.366 attività tra mense e catering.
Delle aziende attive, 99.402 sono imprese al femminile, ovvero con partecipazione di donne superiore al 50% e 44.119 quelle gestite o partecipate da stranieri.
La spesa alimentare fuori casa ammonta a 63 miliardi di euro, ancora lontani dal picco di 86 miliardi registrato nel 2019.
In questo scenario, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio su dati Movimprese di Infocamere, il 2021 è stato protagonista di due record amari: le iscrizioni di nuove attività in ristorazione sono state 8.942, il numero più basso della storia recente italiana, così come il saldo tra iscrizioni e cessazioni, -14.188.
Nel 2021, per la prima volta, sono diminuite le attività ristorative registrate rispetto all’anno precedente, invertendo un trend di crescita che perdurava da oltre 10 anni, con 396.993 unità rispetto alle 397.700 del 2020, ovvero -707 imprese. Si registra anche la pressoché mancata crescita nel corso del 2021 delle aziende attive nel settore, arrivate a 340.610, solo +46 (+0,01%) rispetto al 2020.
La diminuzione delle attività non ha investito le grandi città italiane con lo stesso impatto: Roma è la grande sconfitta del 2021, con 8 attività su 100 che hanno chiuso battenti, passando da 34.200 a 31.359 (-2.841); decrescono anche a Milano e Torino, seppure marginalmente, con rispettivamente -0,6% e -0,4%, mentre il numero cresce a Napoli (19.765 nuove attività registrate, +2,5%) e a Palermo (5.840, +3,3%); rimane pressoché stabile Firenze, dove la quantità di nuove registrazioni si attesta attorno alle 6.800 unità da 3 anni.
“Se da un lato questi numeri sono normali assestamenti di un mercato fin troppo affollato – spiega Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione - dall’altro sottolineano la differenza marcata di competenze e liquidità presente tra gli imprenditori del settore. Nel biennio caratterizzato dalla pandemia sono sopravvissute o hanno addirittura prosperato quelle realtà che hanno saputo riorganizzarsi tempestivamente, rimboccandosi le maniche tra nuovi modelli di business, produzione di sala e cucina ottimizzata e processi di fidelizzazione dei clienti. Sono invece spariti molti dei locali che vivevano di solo passaggio, soprattutto turistico, senza badare particolarmente alla qualità del servizio e di modelli anacronistici privi di qualsivoglia forma di digitalizzazione”.