(AGI) - Roma, 1 apr. - La cosiddetta operazione 'Farfalla', conla quale i servizi segreti avrebbero dovuto raccogliereinformazioni da boss mafiosi, detenuti in carcere, grazie ad unaccordo con il Dap, fu programmata e inizio' nel 2004, mafalli' clamorosamente "per l'infondatezza dei presupposti, perla difficolta' di stabilire un rapporto fiduciario con icarcerati individuati e in particolare per l'impercorribilita'di un'operazione caratterizzata da un'attivita' di contattointermediata da personale del Dap privo di specificaformazione". E' quanto si legge nella relazione finale delCopasir sulle cosiddette operazioni 'Farfalla' e 'Rientro' esulla vicenda 'Flamia'. Presentato oggi al Senato, ildocumento, il cui relatore e' il senatore Giuseppe Esposito, e'il frutto di una inchiesta del Comitato svolta tra l'8 ottobre2014 ed il 10 febbraio 2015, con 21 audizioni di soggetti avario titolo coinvolti nelle operazioni. "Sono stati fattiapprofondimenti per circa 70 ore di lavoro e per oltre 60 oreil Copasir ha discusso e analizzato le circa 3000 pagine didocumenti prodotti e acquisiti", si sottolinea. "Nel corso del2004 - si legge ancora nella relazione - si programmo' einizio' la cosiddetta operazione Farfalla con l'obiettivo diraccogliere informazioni, tramite il Dap, da detenuti che,sentendosi abbandonati dalle proprie famiglie o dalleorganizzazioni criminali di appartenenza, avrebbero potutomanifestare la disponibilita' a fornire informazioni di naturafiduciaria subordinata a dei vantaggi anche di natura economicaper se' stessi o per i loro parenti. Per svolgere tale compito- prosegue la relazione -, salvo che il soggetto commettareati, l'intelligence nasconde sempre la fonte fiduciaria;pertanto, il detenuto si sarebbe sentito protetto e nelcontempo avrebbe aiutato gli investigatori e la giustizia,senza correre particolari pericoli per se' e per i suoifamiliari. Sulla base di elementi conoscitivi acquisiti daidipendenti del Dap sui comportamenti di alcuni detenuti, furonoindividuati, di intesa tra Dap e Servizi, otto soggetti divaria estrazione, ristretti in carceri diverse e sottoposti aregime detentivo differenziato, sei dei quali in regime di41-bis, come potenziali informatori per l'operazione in corsosulla base di atteggiamenti e comportamenti intracarcerari,comunicazioni epistolari con l'esterno e aggregazioneall'interno del carcere. I termini dell'operazione, trattati avoce tra i dirigenti del Sisde e del Dap, furono sintetizzatiin un unico appunto datato 24 maggio 2004, in cui si fissaronoi criteri, i nominativi e le procedure del rapporto". "In unaltro breve appunto informale - si legge ancora -, datato 21luglio 2003, si evidenziano le esigenze del Servizio inrelazione all'operazione. Tra queste compare la realizzazionedei contatti con i detenuti 'al fine di sviluppare autonome emirate azioni di intelligence, non intaccate da ulterioriinteressi da parte di altri organismi'". In conclusione, "sirileva che la lacunosita' della legge n. 801 del 1977 el'inadeguatezza dei poteri di controllo attribuiti al Copacofavorirono una gestione dell'operazione eccessivamenteinformale e priva di adeguati riscontri documentali.L'operazione si sarebbe chiusa nell'agosto del 2004 perl'infondatezza dei presupposti, per la difficolta' di stabilireun rapporto fiduciario con i carcerati individuati e inparticolare per l'impercorribilita' di un'operazionecaratterizzata da un'attivita' di contatto intermediata dapersonale del Dap privo di specifica formazione. Secondo iresponsabili dell'epoca, i detenuti Buccafusca, Cannella,Rinella, Genovese, Angelino, Pelle, Di Giacomo e Massaro, gliotto 'carcerati' individuati per l'operazione nel documento del24 maggio 2004, non sono mai divenuti dei fiduciari del Sisde".La relazione evidenzia infine che "il ruolo del dottor Tinebra,a capo del Dap tra il 2001 e il 2006, ne esce oscurato da unsecco 'non so e non sapevo'". (AGI)