“Lo scandalo Cambridge Analytica/Facebook ci obbliga a confrontarci, così come quello sollevato dai documenti di Edward Snowden sulla sorveglianza governativa, con i compromessi che siamo disposti a fare sulla nostra privacy. Compromessi e sacrifici su cui non abbiamo ragionato abbastanza”, commenta ad AGI Alan Rusbridger, per 20 anni, fino al 2015, direttore del Guardian, inclusi quelli della collaborazione del quotidiano britannico con Wikileaks e delle rivelazioni sulla sorveglianza di Snowden.
Per Rusbridger, che si trova a Perugia per partecipare al Festival internazionale del giornalismo e che ora è direttore del Lady Margaret Hall, college dell’università di Oxford, ci sono punti di contatto ma anche differenze tra i due scandali sui dati. “In entrambi i casi hai qualcuno che ti chiede di sacrificare la privacy in cambio di qualcosa: più sicurezza (gli Stati); servizi gratuiti (Facebook e altre piattaforme)”, commenta Rusbridger, secondo il quale però “lo scandalo Snowden era più grave perché di mezzo c’erano proprio i governi. Tuttavia oggi nel caso Facebook i media mostrano più attenzione, forse anche perché odiano Facebook”.
Riguardo l’audizione di Zuckerberg, l’ex direttore del Guardian dice di essere stato colpito dalle domande dei senatori, “che erano molto incerte, era chiaro che ne capivano poco dell’argomento. E quando Zuckerberg chiedeva di spiegarle meglio, si poteva vedere il terrore negli occhi dei politici”. Anche per questo il giornalismo deve continuare a informare su questi temi e a informarsi, sono ancora pochi i giornalisti preparati al riguardo, continua Rusbridger. Anche in Gran Bretagna c’è molta attenzione per le ricadute della vicenda, e per capire il ruolo giocato da AggregateIQ, la società canadese che ha lavorato per alcune campagne pro-Brexit e che potrebbe avere connessioni con Cambridge Analytica.
“I giornalisti devono continuare a fare domande, soprattutto dove ci sono soldi che si muovono e la possibilità di violazioni delle regole sul finanziamento delle campagne politiche”, commenta Rusbridger. “Ma più in generale la grande domanda di questo secolo è chi debba possedere i dati”, prosegue. “Il regolamento europeo sulla privacy, di cui ora tutti parlano, è un primo passaggio ma dobbiamo arrivare a un nuovo paradigma”.
Sulla libertà del giornalismo da ingerenze, Rusbridger invita i media e i giornalisti a sfruttare di più le differenze normative e legali fra vari Stati e la globalizzazione delle comunicazioni digitali per difendersi da cause e tentativi di censura.
E ricorda quando al Guardian, sotto la sua direzione, hanno scelto di distruggere degli hard drive coi documenti di Snowden invece di darli al governo. “Il mio obiettivo era pubblicarli. Se avessimo scelto di ingaggiare una battaglia legale non avremmo potuto farlo subito. E ne avevamo una copia a New York, negli Usa, dove il primo emendamento protegge di più i giornalisti. Allora abbiamo deciso di farli distruggere a Londra, come richiesto dal governo, in alternativa all’obbligo di consegnarli. Era una scorciatoia per poter poi pubblicare dall’America. Ma ovviamente è stato anche un atto simbolico: far vedere un governo che marcia in una redazione e distrugge degli hard drive”.