Il mio banchetto, la mia sedia, i consigli dei miei insegnanti, dei miei maestri. In questi giorni mi sono spesso domandato: “ma se ci fosse la mia maestra, Suor Teresina, come mi avrebbe raccontato questa emergenza?”.
Chi di noi, in famiglia, non ha un’insegnante. Chi non si ricorda gli insegnamenti dei proprio maestri?
Bene, se oggi la mia maestra fosse ancora viva, l’avrei chiamata e le avrei chiesto. Lei, così inflessibile ma anche dolce, ci spiegava quanto importante fosse studiare, ma soprattutto prepararsi alla vita. Lei che ci abbracciava quando da piccoli volevamo i nostri genitori ed alternava i sorrisi ai rimproveri. Sembrano lontani, non solo nel tempo ma anche nei modi, quei momenti. È a scuola che impariamo a studiare ma anche ad abbracciarci, persino a baciarci. Ed oggi quel modo di vivere è pressoché tutto vietato.
Pensateci: vietato abbracciarsi. Toccarsi. Baciarsi. Stringersi. All’improvviso sono vietate tutte le forme d’affetto. Un metro di distanza è poco se lo si pensa in astratto, ma tantissimo fra una persona e l’altra. Ed ecco che questo virus, al di là delle vittime che farà, sta tentando di ucciderci nel modo più atroce: isolandoci, lasciandoci soli.
Ed in questo momento di paura, di comprensibile ansia verso ciò che non conosciamo, è dalla scuola che si può ripartire. La scuola in Italia, una delle poche istituzioni mai andate in crisi, nonostante le tante riforme non sempre felicissime. Un corpo docenti, spesso eroico, che ha cresciuto noi, i nostri figli, i nostri nipoti. Ed è da loro che oggi si riparte. Mia madre è un’insegnante, e lo era mia nonna ed anche mia zia. Pensavo fosse contenta di avere qualche giorno di “vacanza” forzata. Invece no.
“Sono stata a scuola stamattina” mi ha raccontato. “Ho visto le aule vuote, le sedioline dei miei alunni riposte sui loro banchetti. E loro non c’erano. Mi si è stretto il cuore”. I “suoi” alunni, appunto. Ed è lì che ho capito che un’insegnante senza alunni è orfana come noi lo siamo delle nostre relazioni sociali. Ed allora è meraviglioso vedere come si moltiplichino, in Italia le manifestazioni di scuola “virtuale”, lezioni online. Insegnanti che si collegano via Skype ed alunni che, dall’altro lato dello schermo, ascoltano, dibattono, vivono.
L’emergenza ha travolto il sistema scolastico come un’onda, ma gli insegnanti non si sono arresi, hanno inaspettatamente dovuto imparare a nuotare senza salvagente, ma sono riusciti a rimanere a galla con grande abilità. Si sono rimboccati silenziosamente le maniche e stanno facendo a gara per continuare la didattica con i “loro” alunni.
“Bisogna dare un segnale: la scuola è aperta anche se virtuale”. È ciò che molti insegnanti ripetono, come un mantra, per darsi e dare coraggio. Non dobbiamo essere immersi in questo silenzio plumbeo con un virus che aleggia, ma possiamo continuare a imparare. Ad imparare a studiare, a vivere.
Con le parole di Edmondo De Amicis nel libro Cuore: “Coraggio… piccolo soldato dell'immenso esercito. I tuoi libri sono le tue armi, la tua classe è la tua squadra, il campo di battaglia è la terra intera, e la vittoria è la civiltà umana”. La civiltà, quella che gli insegnanti ci tramandano, di generazione in generazione, di speranza in speranza. Si riparte da loro, perché loro – i nostri insegnanti - ci sono sempre!