Le elezioni politiche sono ormai imminenti: domenica si vota per eleggere il nuovo Parlamento e mai come questa volta un'elezione nazionale è apparsa così gravida di incognite. YouTrend ha elaborato per Agi tutti gli elementi che rendono l'appuntamento elettorale del 4 marzo avvolto nell'incertezza.
La partecipazione al voto
Per cominciare, una grande incognita che si ripresenta è quella dell'affluenza. Quanti italiani si recheranno alle urne? Già 5 anni fa (nel 2013) si registrò il più alto tasso di astensione della storia repubblicana in un'elezione politica, con un'affluenza pari al 75%.
Questa volta la partecipazione potrebbe calare ulteriormente, anche se nelle ultime settimane sono stati registrati segnali di ripresa dovuti all'avvicinarsi della data del voto. L'ultima stima comunque, risalente al 23 febbraio, è dell'istituto Demopolis, che quantifica in 12 milioni di italiani gli astensionisti "certi", cioè quelli che non si recheranno in nessun caso a votare.
A questi vanno aggiunti altri 4 milioni di astensionisti "revocabili", ossia elettori che probabilmente finiranno per andare a votare. Per avere un'idea, nel 2013 gli astenuti alla Camera furono circa 11 milioni e 700 mila. Anche nella migliore delle ipotesi quindi, dovrebbero disertare le urne più elettori rispetto a cinque anni fa.
Risultati incerti (e incerte conseguenze)
Dell'incertezza di queste elezioni, per quanto riguarda i risultati, si è parlato molte volte, soprattutto guardando ai sondaggi (che oggi non si possono più diffondere). Ma non è solo questione di chi avrà più voti o più seggi. L'incertezza si sposta anche - e soprattutto - sugli scenari post-voto e sulla difficoltà che potrebbe incontrare il Presidente della Repubblica a individuare una figura in grado di formare un governo che abbia una maggioranza in Parlamento.
Ad oggi, stante le preferenze degli italiani divise in tre parti di grandezza molto simile, questo è ancora il rebus più difficile da sciogliere, in attesa che dal voto di domenica escano i veri numeri con cui fare i conti.
Il ruolo dei candidati di collegio
Ma i numeri definitivi sui seggi potrebbero restare un'incognita per molto più tempo del previsto. Infatti, il carattere misto della legge elettorale e il complicato sistema di attribuzione dei voti avranno un "effetto ritardante" anche sul numero esatto di seggi da assegnare a ciascuna lista. I vincitori dei collegi uninominali dovrebbero essere proclamati per primi, già poche ore dopo la chiusura dei seggi.
Ma questi copriranno solo poco più di un terzo (il 36%) dei seggi totali di Camera e Senato. Per calcolare come saranno distribuiti tutti gli altri seggi, sia alla Camera che al Senato, bisognerà attendere i conteggi definitivi e la redistribuzione dei voti ai candidati di collegio alle varie liste di una coalizione. Col risultato che per molte ore - forse perfino per giorni - si conoscerà con esattezza solo il dato relativo alle liste non coalizzate, e non quello delle liste che fanno parte delle coalizioni di centrosinistra e centrodestra.
L'incognita delle soglie variabili per i 'partitini' coalizzati
A complicare ulteriormente il quadro, c'è il ruolo delle liste minori nelle coalizioni. Come spiegato più volte, si tratta di liste che otterranno seggi solo se supereranno il 3% dei voti (esattamente come quelle non coalizzate) ma che potranno comunque contribuire in qualche modo al risultato di coalizione se otterranno almeno l'1% dei voti. C'e' un problema però: per calcolare queste percentuali (quella del 3 e quella dell'1) si dovrà tenere conto anche dei voti andati ai soli candidati di collegio uninominale, redistribuiti tra le varie liste della coalizione in proporzione ai loro voti.
Per sapere quindi se liste come Insieme o Civica Popolare (Lorenzin) hanno superato l'1%, o se invece liste come +Europa (Bonino) o Noi con l'Italia hanno superato il 3%, bisognerà prima redistribuire, collegio per collegio, i voti dati solo ai candidati nell'uninominale. Questa operazione potrebbe richiedere molto tempo, anche perché il computo della soglia avviene a livello nazionale, e potrebbe bastare un intoppo anche soltanto in un collegio per bloccare tutti gli altri conteggi.
Ma ogni voto potrebbe essere decisivo: se il 5% dei voti andrà solo a un candidato uninominale di coalizione, una lista poco sotto l'1% (che "pesa" complessivamente il 3% nella sua coalizione) potrebbe ricevere "in dote" uno 0,15%, sufficiente da farle superare la soglia critica. Idem per le liste che dovessero fermarsi poco sotto il 3% nel conteggio dei voti assoluti e che grazie a questo "aiutino" potrebbero ritrovarsi a superare quella soglia e ad ottenere seggi in Parlamento.
Le candidature al femminile e i "paracadutati"
Una delle certezze che dovrebbero venire - o almeno, così si pensava - dalle norme del Rosatellum era che si sarebbe avuta una maggiore rappresentanza femminile in Parlamento, grazie alla clausola che prevede il limite minimo del 40% per le candidature riservate a ciascun genere (laddove nella legislatura appena conclusa le donne erano poco più del 30% tra i deputati, poco meno del 29% tra i senatori).
Ma, andando a studiare le liste di ciascun partito, si scopre che potrebbe non essere così: non solo i principali partiti si sono tutti attenuti allo "stretto indispensabile" per rispettare la norma (40% di candidati donne, o al più leggermente sopra); ma oltre al questo, utilizzando il sistema delle pluricandidature - che consente ad un candidato nell'uninominale di candidarsi anche in un massimo di 5 plurinominali nel proporzionale, di fatto ritrovandosi con un "paracadute" in caso di sconfitta nel maggioritario - le donne potrebbero essere anche molto meno del 40%.
Molto spesso, infatti, le donne capolista nei listini proporzionali risultano pluricandidate, talvolta in aggiunta a una candidatura in un collegio uninominale. Ma, poiché l'elezione scatta una volta sola, ne consegue che a prendere il loro posto in 4 casi su 5 (in caso di 5 pluricandidature) sarà un candidato di sesso opposto, cioè un uomo.
Il voto decisivo al Centro-Sud (e nei collegi urbani)
Infine, la geografia elettorale. Dell'incertezza dei risultati complessivi si è detto in apertura. Quello che merita sottolineare è che le zone del Paese da tenere d'occhio sono quelle tradizionalmente piu' "ballerine" - e quindi, per definizione, meno prevedibili.
Si tratta del Centro-Sud (il Nord e le "regioni rosse" del Centro mostrano invece una tendenza piuttosto netta) ma soprattutto dei collegi urbani, quelli delle grandi città. Ciascuna delle grandi città del nostro Paese è divisa in più collegi, sia alla Camera che al Senato, e presenta un background politico tutto suo.
Dai risultati del voto di domenica emergeranno tante chiavi di lettura, non ultimo quello dell'orientamento politico delle città del nostro Paese.