Mentre i primi due lanci del razzo Falcon Heavy avevano portato in orbita un solo payload (il primo la Tesla rosso fiammante di Elon Musk e il secondo un satellite per telecomunicazioni) il terzo lancio, avvenuto stanotte, ha portato su orbite diverse 24 satelliti forniti da NASA, NOAA, US AIR Force, università americane, e la società Celestis, un’agenzia funebre tecnologicamente avanzata.
Il lancio è considerato una prova molto importante per il Falcon Heavy perché l’inserimento su orbite diverse di questo nutrito gruppo di satelliti richiede l’accensione ripetuta (e precisa) del motore del terzo stadio.
Alla terza ed ultima fermata del Falcon Heavy sarà liberato il satellite PROX-1, costruito dagli studenti del Georgia Institute of Technology, all’interno del quale è stato posizionato un piccolo autostoppista spaziale. Si tratta di LightSail2, un cubesat che contiene ripiegato un sottilissimo foglio in Mylar.
Una volta espulso da PROX-1 con un meccanismo a molla, il foglio (che ha uno spessore inferiore a quello di un capello) verrà dispiegato fino a coprire una superficie di una ventina di metri quadrati e diventerà una vela solar.
Una struttura leggerissima che vuole mettere alla prova la tecnologia della navigazione basata sulla spinta minuscola ma continua che la radiazione solare imprime alla superficie. Si chiama pressione di radiazione ed è la pressione che è esercitata dai fotoni della radiazione elettromagnetica che, pur non avendo massa, trasportano energia.
LightSail 2 dovrà continuamente orientarsi in modo da avere l’angolo più favorevole rispetto al Sole per farsi spingere su orbite sempre più alte. I calcoli prevedono che l’orbita dovrebbe alzarsi di mezzo kilometro al giorno, ma i progettisti dicono che qualsiasi innalzamento dell’orbita sarà considerato un successo di un progetto perseguito con fondi privati e con grande perseveranza dalla Planetary Society, che già aveva provato a lanciare una vela solare una dozzina di anni fa, solo per vedere fallire il lancio.
LightSail 2 è quindi il primo test delle tecnologia in orbita terrestre per dimostrare se è in grado di mantenere le promesse secondo le quali, seppure con tempi lunghi, sarebbe possibile lo spostamento orbitale di piccoli satelliti dotati di grandi vele senza bisogno di motore e carburante. L’unico problema è rappresentato dall’esiguità della pressione di radiazione per metro quadrato che richiede grandi e leggerissime superfici di raccolta della luce capaci di riorientarsi perché, in un satellite in orbita intorno alla Terra, l’angolo rispetto al Sole continua a variare.
Più facile è utilizzare le vele solari per i viaggi interplanetari perché la rotta è costante e non è necessario riorientare la struttura. Le potenzialità delle vele per i viaggi interplanetari sono già state messe alla prova con successo dalla missione giapponese IKAROS che ha utilizzato la vela solare come unico mezzo di propulsione per arrivare a Venere.
Il progetto Brealthrough Starshot pensa proprio di utilizzare migliaia di vele solari accelerate da potenti fasci laser fino a velocità pari al 20% di quella della luce per raggiungere Alpha Centauri in qualche decina di anni. Un progetto pensato per fare sognare ma che ha bisogno di enorme sviluppo tecnologico perché è di questo che vive l’innovazione visionaria.