Un modo nuovo di tornare sulla Luna
Entro una decina d'anni gli americani potrebbero riposare piede sulla Luna, ma con un approccio "incrementale". Ecco cosa significa

Nel maggio del 1961, con il suo famoso discorso al Congresso degli Stati Uniti, il presidente Kennedy dava il via alla corsa verso la Luna, promettendo di raggiungerla entro un decennio. A distanza di oltre mezzo secolo, la storia sembra ripetersi. Pochi giorni fa, la NASA ha annunciato che astronauti americani potrebbero tornare sulla Luna tra meno di dieci anni.
Con un certo tempismo, l’ente spaziale ha scelto l’anno in cui si celebra il 50esimo anniversario della storica impresa dell’Apollo 11 per lanciare la nuova sfida lunare. Forse, però, questo annuncio ha qualche relazione con le imprese lunari di un altro paese: la Cina.
La sfida con la Cina
Proprio all’inizio del 2019, la sonda cinese Chang'e-4 ha effettuato il primo atterraggio morbido sul lato più lontano della Luna. Si è trattato di un’impresa mai tentata prima, un successo importante per la Cina che non ha mai nascosto l’obiettivo di far atterrare i propri astronauti, i cosiddetti “taikonauti”, sulla superficie lunare.
Anche se sembra profilarsi una nuova competizione, come ai tempi delle imprese lunari degli anni sessanta, le strategie per riportare gli uomini sul nostro satellite potrebbero essere alquanto diverse. Se l’Agenzia Spaziale Cinese (CSA) sembra puntare su un approccio diretto, non dissimile da quello del programma Apollo, quella americana sta pensando ad una strategia “incrementale”.
Come cambia l'approccio Usa alla Luna
Il primo passo sarebbe la realizzazione di una base in prossimità della Luna, il cosiddetto Deep Space Gateway o DSG. La stazione lunare potrebbe ospitare un piccolo equipaggio e funzionare da terminale di arrivo per i viaggi verso la Luna. La base consentirebbe di studiare il nostro satellite da vicino e di controllare i robot inviati a esplorare i crateri lunari. Oltre alla ricerca scientifica, questa esplorazione sarebbe rivolta alla ricerca di materie prime da utilizzare a bordo della DSG o per rifornire i veicoli che faranno la spola tra la Terra e la Luna. La polvere lunare (regolite) e i ghiacci, presenti in alcuni crateri perennemente in ombra, potrebbero fornire l’ossigeno, l’acqua e il carburante necessari.
Parola d'ordine: sostenibilità
La priorità sarebbe la “sostenibilità”. A cominciare dalla scelta di tecnologie collaudate come quelle utilizzate in orbita terrestre. L’esperienza accumulata in oltre vent’anni di operazioni della Stazione Spaziale Internazionale sarà sicuramente preziosa per lo sviluppo di sistemi lunari “riutilizzabili”.
Il carattere internazionale potrebbe essere un altro aspetto importante. La capsula Orion, che trasporterà gli astronauti verso la DSG, vede già la collaborazione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la stessa base “cislunare” potrebbe essere realizzata insieme all’Agenzia Russa (Roscosmos).
Ma forse la novità più importante è data dal fatto che la NASA sta cercando di coinvolgere i privati. Qualche giorno fa, è stata ufficializzato il bando di gara per finanziare le compagnie che realizzeranno il prototipo del “lander”, il veicolo destinato a riportare gli astronauti americani sulla superficie lunare.
Insomma, la Luna sembra tornata di moda e presto vedremo “i nipoti” di Armstrong e Aldrin camminare sulla superficie del nostro satellite. Non sarà un «salto gigantesco per l'umanità» ma sicuramente un passo importante per riprendere l’esplorazione umana dello spazio.
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