La leggenda di Romolo e Remo rivista e corretta da Matteo Rovere in un film di rara potenza narrativa, accurato in maniera maniacale, recitato in proto-latino e interpretato da uno dei più bravi attori del nostro cinema, Alessandro Borghi. E' uscito sugli schermi italiani il 31 gennaio 'Il primo Re', storia della fondazione di Roma che Matteo Rovere ha riscritto insieme a Francesca Manieri e Filippo Gravino, avvalendosi della consulenza di ricercatori di Etruscologia e antichità dei popoli italici e di un gruppo di semiologi dell'Università 'La Sapienza' di Roma.
Attori recitano in protolatino ed etrusco
Partiamo dalla caratteristica più curiosa e affascinante del film: la lingua parlata da Romolo e Remo. Si tratta di una miscela di latino arcaico (protolatino), etrusco e osco ricostruito attraverso fonti contemporanee del periodo storico in cui s'immagina siano vissuti i filgi della lupa (VIII secolo avanti Cristo) dai semiologi dell'Università 'La Sapienza'.
Per approfondire: Come è nata la lingua parlata da Romolo e Remo nel film 'Il primo re' di Matteo Rovere
Poi c'è la narrazione, che prende il via dalla leggenda, dai due gemelli di cui hanno scritto i grandi storici che hanno 'inventato' la mitologia di Roma, su tutti Tacito, Tito Livio, Plutarco, Ovidio. E la ribalta, restando sempre fedele ad essa. Il protagonista, il 'primo Re', il guerriero, il condottiero in grado di aggregare attorno a sé uomini e popoli è Remo.
Remo figura tragica
Un eroe antico che, come nelle tragedie greche, sfida gli dei e alla fine muore per mano dell'oggetto del suo amore, il fratello più debole, Romolo, quello che protegge in maniera quasi paterna e difende da tutto e tutti. Quello che gli dei vogliono morto e che lui salva rinnegandoli e dichiarandogli guerra. In quanto a Romolo, la sua debolezza è la sua forza perché il destino (o la divinità alimentata dal fuoco sacro) vuole che sia proprio lui a fondare Roma uscendo vincitore dall'inevitabile scontro col fratello-padre.
E così Remo (Alessandro Borghi) guida la rivolta degli schiavi contro gli italici che li vogliono far scontrare in duelli in stile gladiatori. Poi li guida attraverso una foresta, conquista un villaggio e si proclama re. Il tutto mentre Romolo (Alessio Lapice), ferito e moribondo, si trascina col gruppo di ex schiavi protetto dal potente (e violentissimo) fratello. Un crescendo che si conclude con la sfida agli dei, che predicono la nascita di Roma fondata da un re che ucciderà il fratello. La ribellione è un atto d'amore di Remo per Romolo. Ma il destino è scritto e l'epilogo annunciato, col debole che uccide il forte, vittima dell'amore più che del gladio.
Rovere: così ho riscritto il mito
"La prima difficoltà è che questo mito fondativo (che si pensi a Livio, a Plutarco o a Ovidio) è una storia narrata molto tempo dopo - spiega il regista Matteo Rovere - un mito appunto e l’etimologia di mito, mythos, significa in primo luogo racconto, non la storia dunque, ma un racconto costruito ex post, donatore di senso per chi lo ha elaborato". Quindi spiega: "Con gli sceneggiatori abbiamo approfondito questa narrazione così antica, tentando di interrogarla, cercando gli elementi maggiormente ricorrenti: due fratelli gemelli, Albalonga, un tradimento, un cerchio sacro, un segno degli dei. Abbiamo studiato il racconto leggendario e il contesto, facendoci conquistare dallo strapotere della natura sulle esistenze umane - aggiunge - trenta o più tribù separate nel basso Lazio, e l’effetto dirompente di un uomo che porta una visione in grado di unificarle; una città che custodisce il fuoco, e il fuoco che incarna Dio".
Remo 'motore' nella nascita di Roma
La scelta di leggere la leggenda dando a Remo il ruolo di motore primo della nascita di Roma è spiegato come soluzione narrativa pensata per evidenziare "un dilemma primario, viscerale: cosa prediligere nella vita, la sopravvivenza del nostro gemello, ovvero della parte più intima di noi, o la sottomissione a un potere più grande, poiché non tutto ci è dato di sapere? Le nostre vite ci appartengono fino in fondo?", si chiede Rovere.
Un progetto ambizioso e italiano
'Il primo Re' è stato un modo per tutta l’industria italiana di misurarsi con qualcosa di molto ambizioso e complesso. "Una scommessa difficile sin dalla costruzione del piano finanziario - spiegano Matteo Rovere e Andrea Paris che hanno prodotto il film - circa 9 milioni di euro, coperti in Italia solo in parte e integrati con risorse arrivate dalle co-produzioni, che hanno dato al progetto una dimensione internazionale, che pesa relativamente sul nostro Paese". E il risultato è una pellicola originalissima, curata fin nei minimi particolari, sia in fase di sceneggiatura che nella scelta delle location o nelle scelte regia.
Un film realistico
Come spiega ancora Rovere, l'idea registica era quella di avere un'impostazione di un film realistico, analogico, fatto di sequenze riprese con luce naturale ma anche tecnicamente complesse, con un uso limitato degli effetti visivi. "Le immagini (il film è girato in formato anamorfico con lenti Zeiss arrivate appositamente dal Belgio) sono figlie di un’impostazione estetica e scenografica coerente con il periodo raccontato - spiegano i produttori - abbiamo lavorato con archeologi e storici, che insieme ai linguisti e ai semiologi hanno supportato il progetto con l’obiettivo comune di creare una narrazione moderna, composta però da elementi storicamente attendibili. Le sequenze d’azione sono state coreografate e realizzate nei circa cinque mesi di preparazione dedicati alla pellicola: abbiamo cercato di trasformare i nostri protagonisti in veri e propri stunt, per aumentare la dose di realismo".
E per spiegare questo concetto, basti pensare alla potentissima scena iniziale dell'esondazione del Tevere, che getta gli spettatori in uno stato di tensione e li coinvolge rendendoli quasi partecipi. Una scena che ha impegnato oltre due settimane di riprese tra location e studio, con la costruzione di un bacino d’acqua lungo quarantacinque metri, contenente circa mezzo milione di litri e dotato di una piattaforma basculante alta venti metri, con 'plate' girati tra Italia, Ungheria e Colombia. "Questo semplicemente per cercare di offrire allo spettatore, attraverso il tanto lavoro, quella che è la nostra idea di cinema - spiegano Rovere e Paris - un cinema che va in sala e che speriamo torni ad essere più che mai vivo, coraggioso nell’affrontare sfide e desideroso di sorprendere il pubblico regalandogli nuovi mondi, emozioni, visioni".
Un'ultima considerazione per il cast. Alessandro Borghi si conferma attore in stato di grazia dando a 're' Remo uno spessore fisico e umano enorme, incarnando l'uomo che si ribella al volere degli dei e, come nella tradizione della tragedia classica, ne esce sconfitto. Al suo fianco nel ruolo di Romolo, Alessio Lapice, la cui figura emerge lentamente e alla fine raggiunge l'apice anche se, inevitabilmente, resta sempre in secondo piano rispetto a Remo-Boghi.