La costante di Hubble (H0) è un parametro che rappresenta una specie di Sacro Graal della cosmologia. Indica la velocità, espressa in chilometri al secondo per una distanza equivalente al megaparsec (Mpc, un numero di chilometri pari a circa 3 seguito da diciannove zeri), con la quale l’universo si sta espandendo.
La sua conoscenza è fondamentale per la comprensione della struttura e della dinamica di questo immenso “tutto” che ci ospita perché essa è associata alla determinazione di molti altri parametri cosmologici fondamentali. Ad esempio, il suo inverso dà una stima abbastanza precisa dell’età dell’universo, che si avvicina ai quattordici miliardi di anni.
Numerose sono le metodologie sperimentali per determinarne il valore ma negli ultimi tempi si è assistito al primo segnale di qualcosa che sta mettendo in crisi questa bellissima disciplina scientifica. Ne abbiamo parlato in più occasioni, in questo blog. Tutte le indagini che sono state condotte in questi anni, sia con le sonde che hanno scandagliato il cielo (WMAP e Planck) per studiare la radiazione cosmica di fondo (CMBR) che permea l’universo in tutte le direzioni (il resto fossile della grande esplosione primordiale), sia con osservazioni e con valutazioni di carattere astrofisico (studio di supernove e/o di particolari stelle a luminosità variabile), hanno portato a condensare i risultati in due diversi valori di tale costante.
Questi, infatti, si accumulano intorno a 67–68 km/s/Mpc e 73–74 km/s/Mpc. Insomma, a ogni megaparsec di distanza, la velocità di espansione aumenterebbe di un fattore pari a uno di questi valori, per dirla con un linguaggio più semplice. Già, ma con quale dei due?
Qualcuno osserverà che lo scarto sia talmente esiguo da non meritare attenzione neppure da parte di un severo “autovelox cosmico”... E invece, questa differenza – sia pur minima – crea grossi problemi perché... semplicemente non dovrebbe esistere!
Sono molto sensibile a queste tematiche perché da anni concentro la mia attenzione anche sull’altro aspetto della ricerca cosmologica, quella chiamata delle “coincidenze”: alcuni parametri assumono valori molto particolari, quasi coincidenti, solo in questo tempo attuale rispetto a tutto l’arco di vita dell’universo e la cosa crea molto imbarazzo, allargando la crepa che si sta aprendo nel muro di certezze raggiunte negli anni da questa ricerca (modello standard cosmologico). Tanto, che questa ulteriore stranezza è stata definita “problema del Why Now?”.
I vari “alert”, che ho attivato nel mio computer per ricevere notifiche in tempo più o meno reale sullo stato di alcune ricerche, mi hanno segnalato, ai primi dello scorso dicembre, il draft di un articolo nell’archivio che raccoglie lavori scientifici prima della loro pubblicazione ufficiale da parte delle riviste specializzate.
Si tratta di un articolo interessantissimo, poi pubblicato un paio di settimane fa, la cui prima firma è di un ricercatore italiano, Simone Aiola: “S. Aiola et al. – The atacama cosmology telescope: dr4 maps and cosmological parameters – Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, Vol. 2020, Dec. 2020” (rintracciabile nella versione draft sul sito arxiv).
Gli autori riportano metodi e risultati di una ricerca sviluppata partendo dallo studio delle nuove mappe della radiazione cosmica di fondo ottenute da una campagna di presa dati condotta dal 2013 al 2016 presso il telescopio cosmologico di Atacama (ACT), nel nord del Cile. La mappa è ad alta risoluzione ed è dal suo studio che si sono raggiunti i nuovi risultati, in modo completamente indipendente da quelli forniti a suo tempo dalle collaborazioni WMAP e Planck. Studio che si è concentrato prevalentemente sulle fluttuazioni di temperatura e sulle variazioni di polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. La CMBR presenta infatti una componente “polarizzata” (che indica la direzione di oscillazione del campo elettrico e del campo magnetico, i componenti della radiazione elettromagnetica; questo accade per esempio per la luce riflessa da vetri o dall’acqua) a causa dell’interazione della radiazione con gli elettroni nella fase primordiale che ha attraversato l’universo.
Questo studio ha permesso di risalire, con una metodologia di analisi e di valutazione “trigonometrica” delle mappe, ai valori tanto attesi, quello della costante di Hubble e dell’età dell’universo. La nuova stima conforta i dati ricavati dalle campagne WMAP e Planck e meno quelli dedotti dalle osservazioni astrofisiche. Per la costante di Hubble, in combinazione con i dati WMAP, lo studio fornisce il valore di 67,6 km/s/Mpc, con un errore di più o meno 1.1 km/s/Mpc; per la stima dell’età abbiamo invece 13 miliardi e 772 milioni di anni, con un errore di più o meno 39 milioni di anni.
I dati confortano anche tutta un’altra serie di coincidenze delle quali si è parlato in altra occasione, che coinvolgono altre insospettabili costanti, il tutto sempre legato al “problema del Why Now?”.
Cosa dovremmo dedurre? Che i dati ricavati per via astrofisica siano necessariamente errati e che quelli basati sulla CMBR siano invece corretti?Che l’ago della bilancia penda ora più dalla parte dei risultati delle campagne WMAP e Planck, visto che è stata utilizzata una strada indipendente di valutazione, è un dato di fatto e se ne dovrà certo tenere conto. Ma ciò non vuol dire che gli altri dati siano inesatti. Se non si avrà modo di evidenziare cause o possibili errori sistematici nelle misure, bisognerà cercare di comprendere cosa renda questi ultimi diversi dagli altri.
Qualcuno ventila anche la possibilità che sia alle porte una nuova fisica.
E io dico che questo sarebbe entusiasmante. Bellissimo...!