Non sono pochi coloro che, in una seduta di foto ritratto, si rivolgono al fotografo offrendo all’obiettivo un lato del viso che ritengono migliore dell’altro. Eppure, il volto umano dovrebbe esser dotato di una simmetria propria.
Come se non bastassero i problemi che sta affrontando oggi la cosmologia, soprattutto con la “tensione” fra due diversi valori della sua costante più famosa, la costante di Hubble, (H0, il parametro che indica il rateo di espansione dell’universo, di cui abbiamo diffusamente parlato in questo blog; p. es: “L’autovelox dell’universo genera tensioni”, settembre 2017), adesso occorre fare i conti con un’altra stranezza. Anzi, con altre due.
Uno dei principi cardine su cui si basa questa scienza così affascinante è il cosiddetto “principio cosmologico”: qualunque sia il punto di osservazione e ovunque si guardi nelle profondità del cielo – a parte disomogeneità locali – a grande scala l’universo dovrebbe apparire lo stesso in tutte le direzioni: è un principio di isotropia legato alla sua omogeneità (come la distribuzione di densità, di temperatura, etc.).
Nel mese scorso, sono stati pubblicati due articoli su ricerche che non hanno nulla in comune (a parte la presenza, tra gli autori, di ricercatori italiani in ognuno dei due lavori) ma che sembrano suggerire, in maniera del tutto indipendente, la medesima conclusione: l’universo presenta una direzionalità che parrebbe contraddire il principio che abbiamo esposto più sopra.
Anche l’universo, come la percezione di alcuni del proprio aspetto, presenta un “lato migliore”?
Ecco i link dei due articoli, per chi abbia desiderio di approfondire:
Il primo articolo descrive una ricerca effettuata analizzando l’emissione a raggi X proveniente dal gas caldo intergalattico (intracluster) che permea gli oltre trecento ammassi di galassie studiati, analizzando la relazione luminosità–temperatura (L–T) di questa radiazione. La luminosità è legata a parametri cosmologici, la temperatura invece può essere determinata in maniera indipendente. Sulla base di tale osservazione, è dunque possibile confermare l’esattezza dell’isotropia di tali parametri su tutto il cielo esterno alla nostra galassia.
I risultati di questa indagine hanno portato a evidenziare invece una forte anisotropia della relazione citata, una anisotropia spaziale che deriva dalle diverse direzioni extragalattiche in cui sono state effettuate le rilevazioni sperimentali.
Non sono ancora del tutto escluse altre spiegazioni per questo fenomeno, compresa la presenza di errori sistematici eventualmente da individuare, ma tutto pare convergere intorno all’evidenza che l’universo non sembrerebbe espandersi in modo omogeneo. Un po’ come se il famoso palloncino – cui si fa ricorso per spiegare come l’universo, nato da una grande esplosione iniziale, stia aumentando le sue dimensioni – in realtà si stia gonfiando in modo non simmetrico, con alcune parti che mostrerebbero una direzione privilegiata di espansione.
L’universo, grazie soprattutto all’effetto della presenza di energia oscura che rappresenta circa il 70% di ciò che è in esso contenuto (il resto è per il 25% materia oscura, non ancora rilevabile, e solo per il 5% materia ordinaria, quella di cui siamo fatti noi, le stelle, i pianeti, etc.), da qualche miliardo di anni ha addirittura accelerato la propria espansione. Da queste ultime osservazioni, parrebbe quindi che l’energia oscura agisca sull’espansione in modo non omogeneo, privilegiando alcune direzioni rispetto alle altre.
È comunque ancora presto per confermare una ipotesi cosmologica come spiegazione di questa anisotropia nella relazione luminosità–temperatura della radiazione X extragalattica. Si attendono quindi conferme indipendenti da parte di altre osservazioni sperimentali.
Ricordiamo che la costante di Hubble è già oggetto di una profonda crisi, visto che due metodologie diverse per determinarla giungono a risultati diversi fra loro, concettualmente incompatibili. Quest’altra scoperta sull’anisotropia direzionale – se comprovata – sprofonderà i cosmologi in vera depressione! E purtroppo, come spesso accade, le cattive notizie arrivano sempre accompagnate da altre cattive notizie.
Uno studio del tutto indipendente da questo che abbiamo appena descritto – e guidato dalla University of New South Wales di Sydney – è stato pubblicato nello stesso mese e presenta risultati di un’altra interessante campagna sperimentale sull’osservazione di un oggetto quasi stellare (quasar) distante 13 miliardi di anni–luce, quando l’universo aveva circa 800 milioni di anni.
I quasar sono nuclei galattici attivi estremamente luminosi e distanti che presentano una intensa emissione radio. L’articolo in questione fa riferimento a quattro nuove misure dirette effettuate su questo lontano oggetto per dedurne il valore di un’altra costante che è fondamentale in fisica: la costante α di struttura fine.
Apriamo una parentesi, riprendendo concetti che abbiamo già affrontato in questo blog. Sono quattro le forze fondamentali della natura mediante le quali sarebbe possibile inquadrare ogni tipo di fenomeno: la forza nucleare forte, che tiene legato il nucleo degli atomi; la forza elettromagnetica, che permette l’esistenza degli atomi con la propria corte di elettroni e di conseguenza giustifica l’esistenza della materia, delle stelle, dei pianeti, di noi stessi; la forza nucleare debole, che è alla base del fenomeno della radioattività e consente alle stelle come il sole di produrre energia da fusione; la forza gravitazionale, che sperimentiamo tutti in modo diretto e che è alla base del funzionamento dinamico dell’universo nel suo insieme, dai pianeti alle galassie fino alla geometria stessa dello spaziotempo.
C’è possibilità di confrontare l’intensità di queste forze fra loro tramite un numero puro rapportato alla forza più intensa, quella nucleare forte, che vale 1. Fermiamoci al numero relativo alla forza elettromagnetica, che in questa valutazione sarebbe uguale alla frazione α = 1/137 e che vale per la precisione 0.007297... È proprio questo numero che identifica la costante di struttura fine, ricavabile dal valore di altre costanti naturali: la carica elettrica, la velocità della luce e la costante di Planck che regola i fenomeni (quantistici) dell’infinitamente piccolo.
È un dato di fatto che se questa costante fosse diversa da quella che è – anche in minuscole frazioni percentuali – il nostro universo sarebbe molto diverso da come appare. Potrebbe non consentire alla materia di formarsi, potrebbe far riferimento ad altre leggi della fisica. O potrebbe addirittura produrre solo caos indistinguibile.
Eppure, l’indagine effettuata ha mostrato che il valore di questa costante fondamentale, descritta da un numero (quel 137) che ha sempre turbato i sonni dei fisici fin dalla sua prima comparsa (perché proprio quel numero? cosa rappresenta, in realtà? nasconde un significato fisico più profondo?), sembra variare se confrontata con l’analisi di altre sorgenti simili in direzioni visuali diverse. Una variazione essenzialmente spaziale, direzionale, anche se – basandosi su una luce proveniente da tempi estremamente remoti – a questa variazione potrebbe aggiungersi una ipotizzata minima componente temporale.
L’universo presenta dunque una anisotropia spaziale o ci troviamo noi a vivere in una specie di “bolla” in cui tutti i parametri, le costanti, hanno assunto i valori “giusti” (ipotesi del “fine tuning”, la sintonia fine delle costanti fisiche) per spiegare tutto ciò che esiste, compresi noi stessi?
Anche in questo caso – come nel precedente – partendo dunque da presupposti completamente diversi si evidenzia l’esistenza di una possibile direzionalità nell’universo, una anisotropia insospettabile fino ai giorni nostri. L’aspetto sconcertante è che dal confronto delle due indagini si è potuto verificare che le variazioni misurate nei due casi esposti negli articoli sarebbero addirittura concordi, cioè presenti nelle medesime direzioni.
Come molti scienziati cominciano a sospettare, il modello cosmologico standard dell’universo pare scricchiolare sotto l’accumulo di nuovi dati sperimentali apparentemente non inquadrabili in un contesto di spiegazioni coerente con quel modello.
Certo, è una strana coincidenza anche che nel mese scorso due lavori diversi, con un perfetto “uno–due” di matrice pugilistica, abbiano evidenziato il medesimo sospetto sull’anisotropia dell’universo creando ancor maggiore scompiglio tra i cosmologi, mettendoli quasi alle corde. Ma si sa, parafrasando Eliot, “Aprile è il più crudele di tutti i mesi...”