Il 22 marzo è “La Giornata Mondiale dell’Acqua”. La ricorrenza è stata istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica ed i governi nazionali a sviluppare un approccio razionale nello sfruttamento di questa risorsa chiave per la nostra esistenza.
La vita sul nostro pianeta, così come la conosciamo, dipende dall’acqua. L’acqua è il solvente per eccellenza per le reazioni biochimiche che avvengono nelle cellule degli organismi viventi. Per l’uomo, l’acqua non è soltanto la risorsa che sgorga dai rubinetti per i bisogni fisiologici e sanitari, almeno questo per l’80% circa dei privilegiati residenti del pianeta.
L’acqua è anche quella “virtuale”, com’è stata definita la prima volta da John Anthony Allan, necessaria per produrre la quasi totalità dei beni per la nostra esistenza. Ad esempio sono necessari circa 3.000 litri di acqua per produrre 1 kg di legumi, 20.000 litri per 1 kg di bistecca bovina, 16.000 litri per 1 kg di microchips. L’acqua è anche il mezzo nel quale vivono molti organismi fondamentali per l’uomo. L’acqua incide sulla macchina climatica e sui processi di erosione.
Rimando i lettori al post di Cristina Pacciani che descrive sapientemente l’importanza dell’acqua per la nostra esistenza e fa un quadro esauriente della situazione idrica del nostro Paese.
Le prospettive future non sembrano essere rosee. Le previsioni ci dicono che nel tempo di una sola generazione la fornitura idrica pro-capite potrebbe calare ai limiti della quantità minima necessaria per l’esistenza, almeno per alcuni paesi del Medio Oriente e dell’Africa.
Il trend interesserà prima o poi anche altri paesi, in primis quelli del Bacino del Mediterraneo. Una grande metropoli come Città del Capo attende con trepidazione quello che è stato definito il “day zero”, vale a dire il giorno nel quale il bacino che fornisce l’acqua alla città sarà a secco, giorno che dovrebbe cadere intorno ai primi di giugno. Nel frattempo le autorità hanno iniziato a razionare l’acqua fino ad 1/6 delle abitudini consolidate negli abitanti della metropoli. Il punto cardine del problema è proprio questo. L’acqua, così come tutte le risorse necessarie per la nostra esistenza, stanno disorientando le certezze collettive, perché intervengono sul nostro consolidato stile di vita.
Quale scienza potrà dare le soluzioni al problema?
L’umanità o almeno quella che vive nei paesi ad economia sviluppata, confida troppo nella “scienza tecnologica”. Questa scienza è e sarà sicuramente in grado di mettere alcune toppe nelle tante falle del ciclo globale biogeochimico dell’acqua, che ormai sta dando diversi segnali di alterazione. A mio avviso questa scienza non sarà in grado di proporre soluzioni definitive e affidabili nel tempo. Le tecnologie sono in grado d’intervenire sui processi in piccola scala del ciclo biogeochimico e comunque sono soluzioni energivore.
Oggi gran parte dell’utilizzo dell’acqua è strettamente associato all’uso di energie. Nel 2012 il Sud dell’India ha subito uno dei più grandi black-out elettrici della storia, associato ad un periodo di caldo e siccità che ha obbligato all’utilizzo eccessivo di pompe per irrigare i campi e di energia per alimentare i climatizzatori. Soluzioni impiantistiche, di depurazione e di desalinizzazione seppure fanno passi da gigante nell’efficienza di uso dell’energia, godono dell’abbrivio dell’energia fossile. In un futuro prossimo o lontano nel quale le rinnovabili dovranno necessariamente sostituirsi al fossile non potranno garantire la stessa efficienza a causa del loro basso valore di densità di potenza.
Le discipline scientifiche che potranno e dovranno da subito dare il maggiore contributo sono quelle pedagogiche e sociologiche. Queste discipline hanno gli strumenti per preparare ed educare le società ad affrontare il complesso dilemma che le certezze collettive consolidate non saranno più le stesse.