È destinata ad aumentare nei paesi industrializzati l’aspettativa di vita. In uno studio molto interessante pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet, un gruppo di ricercatori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Imperial College di Londra ha stimato che gli abitanti della Corea del Sud, ma anche quelli degli altri paesi del mondo occidentale e industrializzato, continueranno a vedere aumentare il tempo in cui saranno in vita. Si tratta di uno studio molto importante, che è stato portato a termine da ricercatori qualificati e che mette in rilievo il legame intimo che esiste tra miglioramento delle aspettative di vita e stili di vita.
I ricercatori dimostrano in modo chiaro ed inequivocabile utilizzando un modello di calcolo statistico originale, che l'aspettativa di vita dovrebbe aumentare in modo significativo in 35 paesi industrializzati nei prossimi 20-30 anni. Hanno stimato che un neonato di Seul nel 2030 può aspettarsi di vivere 90 anni e otto mesi (soprattutto se femmina)! Nello spazio di una generazione, l’aspettativa media di vita è cresciuta almeno di sei anni, in Corea del Sud. Ma questi effetti sono stati registrati anche negli altri paesi analizzati, con un avanzamento medio da 3 a 5 anni nelle femmine: Francia (88,5 anni), Giappone (88,41), Spagna (88,07), Svizzera (87,70), Australia (87,57), Portogallo (87,52), Slovenia (87,42), l’Italia (87,28) e il Canada (87,09). Tra gli uomini, la classifica dell’aspettativa di vita registra ancora la Corea del Sud (84,07 anni), seguita da Australia (84), Svizzera (83,95), Canada (83,89), Olanda (83,69), Nuova Zelanda (83,59), Spagna (83,47), Irlanda (83,22), Norvegia (83,16) e Italia (82,82).
Le proiezioni della futura mortalità e speranza di vita sono necessari non solo per pianificare servizi sanitari e sociali e le pensioni, ma anche per analizzare il peso dei singoli fattori di rischio ambientali e dello stile di vita nell’aspettativa di vita. Infatti, è certo che l’obesità, l’abuso di tabacco, l’eccessivo consumo di alcol, e le infezioni hanno una grande influenza nel diminuire le aspettative di vita, mentre al contrario come emerge anche da questo studio, i paesi che hanno attivato ottimi programmi educativi, che favoriscono una cultura sportiva, una corretta alimentazione, soprattutto nell’età giovanile, stipulano una polizza assicurativa per il futuro. Questo studio dimostra che è necessario pensare a nuove politiche sociali in grado di sostenere un invecchiamento sano della popolazione, di riformulare programmi di formazione-lavoro-pensione, e di rivedere gli investimenti nella sanità e nell’assistenza sociale. Bisogna farlo presto perché le proiezioni della ricerca ci dicono che ciò avverrà molto presto! Del resto ormai sappiamo che l’invecchiamento è un processo molto articolato che è legato a diversi fattori che si condizionano l’un con l’altro. A questo fenomeno contribuiscono fattori ambientali e genetici.
Progressi significativi nello studio della longevità sono stati fatti usando organismi modello, come, per esempio un vermiciattolo, il nematode C. elegans, il moscerino della frutta, Drosophila melanogaster e i topolini. Molto utili sono anche gli studi che sono stati fatti sui gemelli che hanno dimostrato che il 20-30% della variazione totale nella lunghezza della vita è dovuta a fattori ereditari. Tra questi i geni coinvolti nel metabolismo dei grassi, nello stress ossidativo, nella risposta cellulare al danno, nei processi infiammatori, e, ancora in altri meccanismi come per esempio quelli legati alla produzione di insulina. Questi studi hanno permesso di osservare specifiche varianti genetiche all’interno di particolari gruppi di popolazione, come per esempio gli ebrei Ashkenazi che vivono a lungo e i loro discendenti presentano particelle più grandi di colesterolo buono (HDL) e colesterolo buono (LDL) oltre ad un minore tasso di ipertensione, e quindi di malattia cardiovascolare e di sindrome metabolica. Uno dei maggiori meccanismi postulati come causa del declino nella funzione della cellula durante l’invecchiamento è l’accumulo di DNA non riparato e di danno dei cromosomi. Si tratta di Dna che, nel corso della vita viene danneggiato da fattori esterni, come per esempio le radiazioni. Questi ed altri esempi confermano il ruolo preminente della genetica nei processi di invecchiamento biologico. La complessità del fenomeno ci suggerisce però che tutto ciò non basta a spiegare un processo così complesso come l’invecchiamento. I geni non agiscono mai da soli e anzi, interagiscono sempre con l’ambiente. Ma dal momento che non è molto facile che siano i geni a cambiare ecco che diventa importante agire sull’altro fattore che contribuisce a rallentare i processi di invecchiamento, e cioè l’ambiente. I geni non cambiano velocemente, ma l’ambiente si, e lo studio mostra anche con quali vantaggi in termini di salute generale della popolazione.