Cosa fare se persino il lavoro ci rende poveri

Negli Stati Uniti un terzo dei lavoratori viene pagato circa 10 euro l’ora. E sono poveri, di fatto, pur svolgendo lavori duri tutto il giorno. Lo racconta il New York Times. Forse la soluzione è puntare tutto sulla scuola, perché l’unica cosa che ci garantisce un futuro migliore è stare dalla parte fortunata della rivoluzione digitale

Cosa fare se persino il lavoro ci rende poveri

Quello che accade ogni anno in Italia a settembre non è, come si sarebbe detto una volta, il teatrino della politica. Tutte le discussioni di queste ore servono a confezionare la legge di bilancio che è il principale strumento con cui un paese decide su cosa puntare e su cosa no. Come in una famiglia, quando si decidono le priorità e si stabilisce come spendere i soldi che restano dopo la rata del mutuo e le bollette, così fanno i nostri leader politici che in queste ore dibattono di reddito di cittadinanza, flat tax e pensioni a quota 100.

Vedremo come finirà, intanto però una storia su cui riflettere viene dagli Stati Uniti che sono peraltro in una situazione economica molto migliore della nostra con gli indici di Borsa ai massimi storici e la disoccupazione quasi azzerata. Una lunga inchiesta del New York Times ci manda il seguente messaggio: gli americani pensavano che il lavoro fosse la soluzione per sconfiggere la povertà. E invece no. Il senso del reportage è che negli Stati Uniti un terzo dei lavoratori viene pagato circa 10 euro l’ora. E sono poveri, di fatto, pur svolgendo lavori duri tutto il giorno. Se i salari avessero seguito il vertiginoso aumento della produttività che c’è stato dal 1973 ad oggi, il minimo dovrebbe essere 18 euro. Ma non è andata così e quindi conclude il giornale, i lavoratori americani sono stati progressivamente esclusi dal profitto che hanno contribuito a generare.

Perché è accaduto? Per varie ragioni ma soprattutto perché la rivoluzione digitale ha stravolto il mercato del lavoro: ha distrutto intere categorie professionali e in cambio ha generato due tipi di posti di lavoro: quelli, pochi, di “tecnici digitali” super pagati; e i lavoretti tipo i fattorini che ci portano le pizze a casa o gli autisti di Uber, abilitati da una app ma in effetti pagati pochissimo.

Se questa è la situazione, come dimostrano anche recenti ricerche scientifiche, la soluzione è una soltanto: investire in istruzione dalla primaria in su, aumentare la qualità delle nostre lauree e la quantità dei nostri laureati. Puntare tutto sulla scuola. Perché l’unica cosa che ci garantisce un futuro migliore è stare dalla parte fortunata della rivoluzione digitale, di quelli che programmano le macchine e i robot, di quelli che usano il software per dare più forze alle proprie idee e al proprio talento, non di quelli che prendono ordini da una app. Puntare sulla scuola dove gli studenti non hanno bisogno - soprattutto - di armadietti per riporre gli zaini, come ha detto il nuovo ministro, ma di professori preparati e motivati che li preparino davvero ad affrontare il nuovo mondo digitale con le grandi opportunità e le sue ingiustizie. Per cogliere le prime e combattere le seconde.

Di solito i politici di ogni schieramento lo dicono ogni anno. Ed è l’unica cosa che non fanno.



Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it