Quando ero un ragazzo, negli anni '70 ormai, e si parlava di futuro istintivamente guardavamo al Giappone. Era la patria dell’elettronica e dei robot e ci faceva sognare. Sono passati 40 anni, la rivoluzione digitale ha da tempo spostato la frontiera del futuro in Silicon Valley, eppure è ancora dal Giappone che vengono alcune delle visioni più interessanti e inquietanti per capire che mondo sarà. L’ultima è il ristorante dove ci sono più robot che umani. E’ in un parco tematico della provincia di Nagasaki. Un parco giochi che ricostruisce una delle tre residenze della famiglia reale olandese. Huis Ten Bosch. Nel ristorante ci sono trenta robot, sette impiegati e 100 coperti. I robot svolgono diverse mansioni: preparano i pancakes e i cocktail, e vanno al tavolo dai clienti per informarli che il buffet sta per chiudere. Ma non sono completamente autonomi, pare. Alcune mansioni devono essere svolte da umani, e qualche volta tocca alle persone rimediare ai problemi creati dai movimenti ancora goffi delle macchine.
Il progetto è in un parco giochi ma non è un gioco: non a caso il governo giapponese, che punta forte sulla robotica, ci ha investito 265mila dollari. Scopo: non solo misurare l’abilità dei robot, ma soprattutto le reazioni delle persone: siamo sicuri di volere un cameriere robot? E di preferire un robot che cucina per noi? In questo momento gli incassi del ristorante di Nagasaki dicono di sì, ma probabilmente è solo la curiosità dell’esordio. Mentre una ricerca condotta qualche mese fa dice che l’opinione pubblica è divisa davanti all’idea, per esempio, di essere accolti in albergo da un robot. Resta una domanda, forte e urgente: e il lavoro? Che fine fa il lavoro? Stiamo costruendo una società di disoccupati? La risposta è investire in conoscenza: perché i robot avranno sempre bisogno di qualcuno che li progetti e li programmi. Far sì che il futuro abbia ancora bisogno di noi, dipende anche da noi.