Francesco De Gregori sa benissimo quanto i suoi pezzi significhino non solo per una generazione, magari quella che aveva vent’anni negli anni ’70 all’uscita di capolavori di album come Rimmel o Bufalo Bill, ma per una nazione intera che attraverso le sue canzoni può non solo emozionarsi ma anche studiarsi attentamente. È forse anche per questo che il cantautore romano, tra i principali della storia della musica leggera italiana, conserva in maniera così composta e geniale il suo repertorio, lo coccola, lo ripulisce, lo rinnova e poi ripropone senza mai stancare.
È il caso del tour estivo che lo vede impegnato tra giugno e luglio insieme alla Gaga Symphony Orchestra e la Gnu Quartet, sezione d’archi già scelta come accompagnamento da diversi altri colleghi. Il risultato pare sia stravolgente, come lui stesso confessa in un’intervista a La Stampa: “Mi sembra di aver raggiunto qualcosa dopo cinquant’anni di lavoro. Mi sono fatto tentare dalle dinamiche misteriose di una compagine completa. Sento aumentare la potenzialità dei brani, le dinamiche si sviluppano come volessero uscire allo scoperto. Questo era il progetto che cercavamo. L’orchestra cambia tutto, persino ne La donna cannone e in Generale ho trovato sorprese. E mi commuove”.
E commuovere De Gregori non dev’essere impresa facile. Ma di fronte all’imponenza di un’orchestra che accompagna certi capolavori non è complesso immaginare quanto possa essere naturale che le lacrime inizino a sgorgare copiose. Nessun delitto quindi, nessuna auto marchetta ma, al contrario, l’approfittarsi della liquidità di una canzone che, specie quando bella, può essere vestita e rivestita mille volte, come confermato sempre dallo stesso De Gregori: “Prendiamo Rimmel. Non è più come quando la scrissi e anche io non sono più quell’uomo. Se ci riproponessimo come eravamo nel 1975 faremmo un falso ideologico perpetrato ai danni del pubblico, che è cambiato anche quello. La musica ha un privilegio rispetto alle altre arti, la puoi modificare, rendendola più vicina a te e a chi ti ascolta. Chi canta e chi scrive può farlo e io me lo permetto”.
E il pubblico ringrazia, anche quando durante il concerto, come successo in occasione della data alle Terme di Caracalla, si toglie qualche sassolino dalla scarpa, episodio ricordato da Vanity Fair: “I brani di successo si danno il cambio con le rarità: Alice (la sua prima hit, arrivata ultima al Disco per l’estate) passa la mano a Pezzi di vetro, ‘che non è mai stata una hit perché – e arriva la frecciatina della serata di Francesco – le radio trasmettono solo musica di merda”.
Effettivamente siamo ben lontani, mai più di così probabilmente nella storia, da quando il pubblico, come accadde a lui nel ’76 al Palalido di Milano, ti processa, pistola puntata, per il modo in cui sei artista e uomo. E oggi invece chi è De Gregori? “Un uomo di spettacolo che canta, salta e balla sul palco. Non mi voglio monumentalizzare. Ho i calli sulla punta delle dita, sono un chitarrista”.
A monumentalizzarlo ci pensa il pubblico invece, un pubblico con il quale De Gregori entra in sintonia, paradossalmente forse sempre di più. “A volte mi sento come se stessi a cena tra amici, a volte no”. Una risposta che non stupisce da parte di un artista che può permettersi di parlare senza troppi peli sulla lingua, così ascoltarlo è ancora più interessante, specie quando entra nel merito dei suoi classici e spiega, per esempio, il motivo per cui in questo tour non verrà suonata Viva l’Italia: “È assertiva e pugnace, per questo non me la sento in questo momento. Il perché è intuitivo”.
O come quando, a Radio Deejay, fornisce un imperdibile racconto della stesura de “La valigia dell’attore”, scritta per Alessandro Haber che “era assolutamente imbranato a cantarla, mi ricordo dei pomeriggi in cui Mimmo (il produttore di Haber che chiamò De Gregori per proporgli il progetto) con una specie di bacchetta da direttore d’orchestra che in realtà era un bastone che faceva anche male, gli dava dei gran colpi sulla spalla per farlo attaccare nei punti giusti. Haber era emozionato, beveva e sputava sul pavimento con grande imbarazzo per la moglie di Mimmo dato che lo studio era stato allestito a casa loro”.
Un’enciclopedia di aneddoti e storie, De Gregori, e non potrebbe essere altrimenti considerato quanto le sue canzoni siano punti fissi nella nostra vita. Il tour toccherà l’Italia da Nord a Sud e si prevede sia uno degli eventi musicali della stagione, chi ci andrà non solo assisterà ad uno spettacolo totale, inebriante, sorprendente per certi aspetti, perché dopo anni ci si aspetta che certe canzoni che conosciamo così bene possano arrivarci in una e una sola maniera, De Gregori invece ci dimostra il contrario; ma soprattutto si potrà finalmente rispondere ad una domanda che appare sempre più fondamentale: quanto manca alla cultura italiana quella generazione di cantautori capaci di comporre simili capolavori? La risposta è chiaramente: tanto, ma rendersene conto personalmente è non solo più doloroso ma anche più nostalgico e meraviglioso.