Facebook è una piattaforma neutra rispetto ai contenuti che distribuisce? O, piuttosto, può essere classificata come una media company che ha un peso nella formazione dell’opinione pubblica? Della questione si torna a parlare dopo la notizia che il social network di Mark Zuckerberg ha appena assunto l’ex conduttrice di Cnn e Nbc, Campbell Brown, per affidarle il ruolo di capo del News Partnership Team. Obiettivo della Brown sarà, a partire da questo mese, migliorare i rapporti con gli editori e aiutare i giornalisti a rendere migliore e più proficuo il proprio lavoro di informazione.
E’ molto probabile che la decisione di Zuckerberg di portare figure giornalistiche anche senior e di alto spessore a lavorare per la sua creatura sia collegata alle ultime polemiche per il ruolo che le fake news circolate sul social network potrebbero aver avuto nella formazione dell’opinione pubblica che ha portato all’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti.
Per rispondere alle accuse Facebook aveva già annunciato nei giorni scorsi l’avvio di una collaborazione con alcuni gruppi giornalistici particolarmente focalizzati sul fact-checking in modo da poter correggere, segnalare e penalizzare la circolazione virale delle eventuali bufale pubblicate sulla piattaforma. Evidentemente il correttivo non è sembrato sufficiente e, benché Facebook si sia sempre definita una compagnia tecnologica, neutra rispetto ai contenuti che veicola, si è ritenuto opportuno di ricorrere anche all’esperienza di giornalisti professionisti.
“Coprire le notizie con onestà e integrità è per me cosa profondamente importante; ho sempre pensato che il giornalismo sia molto di più di un lavoro”, ha scritto Campbell Brown sulla sua pagina Facebook. Difficile che, con tali premesse, la nuova responsabile del News Partnership Team voglia tenere un atteggiamento “neutro” rispetto all’informazione che circola sul network.
La questione del vero ruolo di Facebook nell’attuale ecosistema dell’informazione sembra comunque tutt’altro che chiarita. Nel 1964 il sociologo canadese Marshall McLuhan (1911-1980) pubblicò il saggio Understanding Media: The Extensions of Man (Gli strumenti del comunicare, 1967), dove sosteneva alcune fondamentali teorie che anticipavano di molti anni l’era di Internet: concetti come “villaggio globale” e “il medium è il messaggio” che hanno profondamente influenzato la visione degli ultimi 50 anni. In particolare MacLuhan sosteneva già allora la necessità di studiare non solo i contenuti, ma anche le modalità con le quali venivano trasmessi, poiché riteneva i media non mere tecnologie “neutrali”, ma strutture complesse in grado di influenzare i destinatari.
Oggi, probabilmente, MacLuhan riconoscerebbe in Facebook il “principe” dei media capaci di influenzare l’opinione pubblica attraverso gli algoritmi di distribuzione dei contenuti che sceglie di sottoporre all’attenzione dei suoi utenti. Insomma, se negli anni degli albori della televisione, il “medium” era il “messaggio”, nell’era della piena maturità di Facebook “la distribuzione è il messaggio”.
Se oggi tutte le maggiori testate giornalistiche distribuiscono i propri contenuti su Facebook è perché vogliono raggiungere il miliardo e ottocento milioni di utenti della piattaforma. “Portare l’informazione là dove stanno gli utenti” è il nuovo mantra di editori e giornalisti. Così, sempre più persone si informano direttamente attraverso il news feed di Facebook piuttosto che ricorrere alle homepage dei siti di informazione. Il risultato non può essere che uno: la crescita sempre più poderosa del mercato pubblicitario sul social network a discapito della raccolta da parte degli editori.
Questo è il vero nodo della questione: se improvvisamente a Facebook mancassero le notizie prodotte dagli editori, il luogo diventerebbe con il tempo meno interessante per i suoi abitanti. Ecco perché le grandi piattaforme, da Google a Facebook, non potranno continuare a sfruttare le notizie prodotte dagli editori prosciugandone le risorse economiche. Prima o poi diventerà anche per loro di vitale importanza trovare un equilibrio con chi produce informazione per garantire un posto migliore ai propri utenti e la possibilità per gli editori di continuare a produrre buona informazione, senza la quale, ci piaccia o no, il mondo sarebbe un luogo meno interessante e, certamente, più caotico.