Come eravamo e come siamo. O meglio, a che punto eravamo e cosa è cambiato ad oggi. Parliamo di clima, di mutamenti del clima che, più o meno capricciosi di loro, sono però provocati – ormai è letteratura – dall’azione dell’uomo sul territorio.
Il 12 settembre del 2007, a Roma, alla presenza del gotha dell’ambientalismo nazionale ed internazionale, nonché di tutto il governo italiano di allora e di alcuni prestigiosi ospiti che accettarono di dire la loro, come il premio Nobel Rita Levi Montalcini, nel corso di una conferenza nazionale sui cambiamenti climatici promossa dall’allora ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio ed organizzata dall’allora Apat, si discusse dei danni che stava provocando il clima in mutazione e di come si sarebbe dovuto intervenire per tentare di prevenire tali danni, in un evento che non ebbe uguali sul tema, sia per la vastità delle tematiche trattate che per le presenze.
Cosa raccontavano i dati di allora
I dati Ispra di allora ci raccontavano che il 10% del territorio italiano era a rischio idrogeologico e che la popolazione esposta a rischio frana ammontava a 992.403 abitanti. Oggi? Le cifre parlano di una percentuale delle aree a rischio quasi raddoppiata e la popolazione esposta a rischio frane è oggi passata a 1.247.679, mentre quella esposta a rischio alluvione ha quasi raggiunto i 2 milioni di persone. Il trend positivo degli interventi a mitigazione del rischio idrogeologico ci sono stati, come evidenzia l’Ispra, solo nel biennio 2007-2008, mentre già il 2009 risulta essere un anno privo di qualsiasi programmazione.
Parliamo di clima: dieci anni fa durante la Conferenza Nazionale, si parlò di un’anomalia della temperatura media allora a + 1 °C rispetto al trentennio 1961-1990; come siamo messi ora? In meno di dieci anni è passata a + 1,58 °C, e l’anno in corso è già entrato nel guinness dei primati come uno degli anni più caldi della storia. Le piogge: negli ultimi anni stiamo assistendo ad alternanza di fenomeni di improvvise bombe d’acqua e alluvioni ai quali seguono periodi di prolungata siccità, causa a sua volta di desertificazione che interessa ben il 40% del nostro territorio, soprattutto nelle regioni meridionali e nelle isole.
“I fatti di cronaca ci costringono a ricordare”; così ha esordito Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde, aprendo la conferenza stampa che si è tenuta il 12 settembre scorso presso la sala caduti di Nassyria al Senato.
“Dieci anni fa si pensava che fosse l’inizio di una consapevolezza, ma non fu così”. L’ex Ministro dell’ambiente ha sottolineato come adattamento in Italia suoni un po’ come rassegnazione invece che come una presa d’atto che, poiché il clima è cambiato, si avverte come indispensabile dotarsi di un Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. È difficile oggi sostenere che i mutamenti del clima siano diventati una priorità nell’attività dei governi: di fronte ad eventi estremi e di intensità crescente, ai quali la cronaca ci sta abituando, non c’è un’adeguata capacità di risposta, tanto più grave dal momento che già dieci anni fa gli scienziati ci avevano avvertito delle tendenze in atto.
La lezione che dobbiamo trarre dai fatti di questa estate
“Quanto accaduto questa estate ha rappresentato purtroppo una sintesi di ciò che potrebbe accadere se non decidiamo di attuare tutte quelle azioni di mitigazione e di adattamento che tali cambiamenti impongono di fare – ha dichiarato con una nota il Presidente dell’Ispra Stefano Laporta – ed iniziative come quella di oggi ed il ruolo della stampa sono fondamentali per sensibilizzare l’opinione pubblica e anche per sollecitare gli stessi media a trattare più spesso i temi legati alla tutela ambientale, e non solo in occasione di disastri o emergenze, perché risultati concreti possono nascere anche da un’opera costante di divulgazione”
Già, perché un po’ di responsabilità l’abbiamo anche noi; sono anni che si dibatte sulla necessità di trattare l’ambiente e le sue dinamiche più spesso e costantemente, anche in fasce orarie atipiche per argomenti così “tecnici”, perché solo così si abitua e si prepara il cittadino in caso di emergenza, ma poi alle parole non seguono fatti e l’ambiente continua ad essere relegato alle emergenze e visto quindi solo come emergenza.
Scriveva, sempre nel 2010, James Hansen, nel suo libro “ Tempeste - il clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agire”: “La tempesta del 1993 sarà rapidamente eclissata dalle tempeste del ventunesimo secolo, a meno che il comitato di umidità dell’aria alle basse e medie latitudini aumenterà e incontrerà le masse di aria polare raffreddata dai ghiacci". Le conseguenze degli eventi estremi alle nostre latitudini impallidiscono di fronte a quelle che si registrano in aree come il sud-est asiatico, al esempio in Bangladesh, dove le alluvioni interessano decine di milioni di persone e hanno provocato, in passato, fino a 2400 morti per un solo evento.
Alcuni risultati
Ma forse qualcosa, se pur timidamente, è stato fatto, soprattutto dal punto di vista della mitigazione. L’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno rispettato i propri impegni di riduzione delle emissioni nell’ambito del primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto (2008-2012) e attualmente l’UE è a buon punto verso il raggiungimento dei propri obiettivi clima/energia al 2020:
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una quota del 20% di fonti energetiche rinnovabili rispetto al totale dei consumi energetici dell’UE;
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un miglioramento del 20% dell’efficienza energetica rispetto allo scenario “business as usual”;
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una riduzione del 20% delle emissioni di gas-serra rispetto ai livelli del 1990.
L’Italia è tra i Paesi che hanno prodotto gli sforzi più significativi per la promozione delle fonti energetiche rinnovabili; è infatti al quarto posto in termini di tasso di crescita della percentuale di rinnovabili rispetto al consumo finale lordo nel periodo 2004-2015, il terzo tra i paesi EU15, dopo Danimarca e Svezia.
Piccoli passi in avanti
Anche sull’adattamento ai cambiamenti climatici qualcosa si è fatto: nell’aprile del 2013, l’UE ha adottato la “Strategia europea di adattamento ai cambiamenti climatici” che ha rappresentato un elemento di stimolo delle iniziative nazionali. Ad oggi 23 Paesi europei (20 Stati Membri dell’Unione Europea e altri 3 Stati Membri dell’EEA) hanno adottato una strategia nazionale di adattamento e 12 hanno sviluppato un piano nazionale di adattamento.
In Italia, dopo l’adozione della “Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, avvenuta nel giugno 2015, il ministero dell’Ambiente ha avviato la predisposizione del “Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”, le cui bozze sono attualmente sottoposte a consultazione pubblica sul sito del Ministero.
La Conferenza del 2007 produsse un Manifesto per il Clima approvato alla fine della Conferenza del 2007, che poneva tra gli obiettivi, quello di prevedere azioni immediate di adattamento in Italia a partire dalle politiche riguardanti la protezione degli ecosistemi e della biodiversità (terrestre e marina), la gestione del suolo e delle coste, la gestione delle risorse idriche, l’agricoltura e lo sviluppo rurale, la tutela sanitaria della popolazione, l’industria e l’energia, il turismo.
Oggi il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) si pone come uno strumento essenziale per vedere finalmente attuati questi interventi. L’Snpa sta predisponendo ad esempio un sistema di riferimento per il monitoraggio delle tendenze del clima, la valutazione degli impatti sul territorio e il supporto alle politiche di adattamento, dal livello centrale a quello locale, prendendo spunto dall’esperienza - già richiamata nel “Manifesto per il clima” - del centro di competenza operativo in Germania.
Le notizie di disastri ambientali che abbiamo tutti appreso dai media in questi ultimi anni, ci mostrano che il punto debole delle nostre capacità di risposta non riguarda tanto la conoscenza dai fenomeni, quanto la capacità di monitoraggio e di allerta e la disponibilità per le amministrazioni di indicazioni operative per le situazioni di emergenza e per il superamento dell’emergenza. L’Ispra ha cercato in questi anni di fornire linee-guida e strumenti di intervento ai comuni italiani maggiormente interessati da questi fenomeni e l’avvento del Snpa permetterà di ampliare le attività e di renderle maggiormente coordinate su tutto il territorio nazionale, in linea con gli indirizzi del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
Cristina Pacciani