Tra il 1960 e il 1962, cioè all'alba della Rivoluzione Castrista, attraverso la Chiesa Cattolica locale che (grazie alla presenza di missionari e suore irlandesi) ancora gestiva scuole, asili e orfanotrofi, 14 mila bambini cubani sono stati consegnati (spesso con il permesso estorto ai genitori) a organizzazioni “di carità” create per accogliere i minori portati negli Stati Uniti, dove vennero alloggiati in case di sconosciuti e istituti, divenendo in molti casi vittime di atti di pedofilia.
Si tratta forse della pagina più tragica della storia cubana, certo quella che ha condizionato per diversi decenni i rapporti tra la Chiesa locale e il popolo. L'operazione "Peter Pan", che in barba al nome che evoca una bella favola era fatta di abusi gravissimi.
In tutti i casi bambini, separati bruscamente dai loro genitori e dagli altri parenti, portati in un paese sconosciuto in mani anche estranee e senza la minima idea di quando si sarebbero rincontrati con i loro genitori. Alcuni di questi ragazzi hanno raccontato in libri e film quegli amari ricordi, l’infinita angoscia e l’infinita solitudine che li ha invasi quando si sono scoperti nel centro di un episodio totalmente fuori dalla portata della loro comprensione. Un dramma, le cui conseguenze psicologiche non sono state mai superati da molti.
La storia dunque è conosciuta. Quello che non era emerso quasi per nulla è l'aspetto criminale delle attenzioni che spesso vennero loro riservate dai sacerdoti (di origine irlandese) e dai buoni padri di famiglia yankee, che li avevano "comprati".
Il coordinatore dell’operazione è stato monsignore Bryan O. Walsh, sacerdote d’origine irlandese appartenente alla diocesi di Miami, strettamente legato alla Cia, come è stato ricostruito.
La campagna di terrore era iniziata nell'ottobre 1960 con le trasmissioni di Radio Swan nelle quali gli yankee pubblicizzavano una falsa e mai concepita Legge della Patria Potestà, in virtù della quale i bambini sarebbero stati separati dai loro genitori, spesso giovani ragazze madri o coppie senza nè casa nè lavoro.
I primi cinque bambini arrivarono a Miami il 26 dicembre 1960. Un penoso esodo infantile, concluso nell'ottobre del 1962 quando il governo Usa ha eliminato unilateralmente i voli diretti da Cuba. Nell’Isola rimasero migliaia di genitori ai quali erano stati promessi visti e che aspettavano ansiosi, ogni giorno, il ritorno dei figli, che in alcuni casi è arrivato molti anni dopo.
La Rivoluzione Castrista che scaturisce dalle ferite di un popolo
Proprio questa vicenda ha minato i rapporti Chiesa-Stato a Cuba impedendo che la popolazione locale maturasse un senso di gratitudine per l'intervento a favore della pace di Giovanni XXIII nella crisi scaturita dopo il fallimento dell'invasione Usa alla Baia dei Porci. L'isola rischiava di diventare il terreno di uno scontro nucleare tra americani e sovietici, accorsi in difesa della sua sovranità (e dei propri interessi geopolitici).
Grazie alle parole del Papa, riprese dai principali quotidiani internazionali, la diplomazia prevalse e le trattative tra i due blocchi portarono alla soluzione della crisi, che si concluse con lo smantellamento dei missili da parte dei russi, ed il rispetto dell’indipendenza di Cuba da parte degli americani.
È in questo contesto che vide per un periodo la ripresa della navigazione è di linea tra L'Avana e Miami, che oggi ancora resta interrotta, che i bambini più poveri di Cuba vennero deportati.
"L'operazione Peter Pan - spiega l'economista Nicolas Valladares, presidente dell'Anec, l'istituzione cubana per la politica economica - fu un atto di estrema crudeltà e un esempio della capacità umana di mentire, manipolare e sfruttare i sentimenti per i propri meschini interessi. Una pagina oscura che ha avvelenato per anni i rapporti dei cubani con la Gerarchia della Chiesa Cattolica, della quale però restano devotissimi".
Una frattura che ha iniziato a risanarsi solo nel 1998 quando - preceduto da una straordinaria missione diplomatica di Joaquin Navarro Valls - arrivò sull'Isola per la prima volta un Papa.
In quell'occasione Wojtyla rispose a un giornalista che gli chiedeva cosa pensasse di Ernesto “Che” Guevara dicendo che il rivoluzionario ucciso nel 1967 in Bolivia “si trova di fronte al tribunale del Signore. Lasciamo a Lui il giudizio sui suoi meriti. Certamente sono convinto che volesse servire i poveri”.
All’Avana, poi, sulla piazza dove il Pontefice doveva celebrare si fronteggiavano una gigantografia del “Che” e un enorme crocifisso. Giovanni Paolo II gridò: “Il Papa abbraccia con il cuore e la sua parola di incoraggiamento tutti coloro che subiscono l’ingiustizia”.
La folla rispose con cori di “ingiustizia, ingiustizia”, mescolati ad altri: “El Papa libre nos quiere libre”, il Papa libero ci vuole liberi”. Il Papa polacco, scrive Marco Tosatti nel suo volumetto “99 domande su Wojtyla”, visse il viaggio a Cuba come un prosieguo di “quelli in Polonia del 1979 e del 1983, che prepararono la caduta delle dittature”. Disse infatti prima di fare rientro in Italia: “Auguro ai nostri fratelli e sorelle di Cuba i frutti del pellegrinaggio di allora in Polonia”.
Che Guevara e il Cristo morto di Mantegna
Quelle parole del Papa polacco, oggi santo, suggeriscono una riflessione anche sulla morte del Comandante Ernesto Guevara che può essere certamente considerata un martirio al pari di quella di padre Popieluzsko, il cappellano del sindacato polacco Solidarnosc, ma anche di Camilo Torres, il sacerdote guerrigliero che però non uccise nessuno.
Il “Che” venne assassinato a sangue freddo o l’8 o il 9 ottobre 1967, il giorno dopo la sua cattura a La Higuera, in Bolivia. Il cadavere venne trasferito poi a Vallegrande, dove andò in scena l’ostensione del nemico ucciso, sopra un lavatoio pubblico rurale. Un'immagine che evoca il Cristo morto del Mantegna.
Il collegamento Che Guevara-Cristo – scrive Mauro Zanchi su DoppioZero – è stato fatto anche dalle infermiere di Vallegrande, che vennero chiamate per pulire il corpo dell’eroe argentino prima dell’ostensione pubblica: “Quando ci hanno portato il corpo non sapevamo chi fosse. L’hanno portato fra le 10 e le 11 del mattino. Ci dissero che sarebbe arrivato il Che Guevara. Non sapevamo chi fosse. Lo ricevemmo come qualsiasi altro cadavere. Quello che a noi infermiere e medici impressionò di più fu lo sguardo. Perché sembrava Gesù Cristo, coi capelli lunghi, la barba incolta e gli occhi. Ci spostavamo là, e lui ci seguiva… dall’altra parte… ci seguiva… il suo sguardo ci seguiva ovunque andassimo”.