Perché consentire a un sacerdote di sposarsi non risolve il problema
Il caso del parroco di Ischia e una disputa antica: eliminare il celibato per i preti. Una non soluzione, lo dicono i numeri

Non sarebbe meglio che i preti si sposassero piuttosto che rimanere celibi? La domanda torna d'attualità dopo che ieri, a Ischia, un parroco, don Gianfranco Del Neso, viene sospeso perché tra poche settimane avrà un figlio da una donna con la quale ha una relazione. Monsignor Lagnoe dichiara che il sacerdote - fortunatamente - "intende assumersi tutte le responsabilità connesse alla sua nuova situazione di vita che prevede l’arrivo di un figlio" e quindi non potrà più continuare ad esercitare il ministero.
A casa mia, il giro di parole usato dal vescovo, significa che Gianfranco si sposerà. Ovviamente questa decisione, essendoci un figlio in arrivo, appare saggia se non fosse che, oggi come oggi, la vera domanda da farsi non è "perché la Chiesa obbliga i preti a non sposarsi?" ma è "quanto durerà questo matrimonio?".
Sì, perché, mettendo da parte il caso concreto che serve solo come spunto di riflessione, nella società di oggi tutto concorre a dire: andiamoci piano a dire che il matrimonio sarebbe una soluzione per la vita affettiva dei preti. Forse, come avviene nella chiesa orientale, potrebbe essere un'ipotesi avere un parroco sposato invece che un parroco con una relazione, ma cosa diremmo se poi quel parroco diventasse un parroco divorziato? E, a quel punto, perché non potrebbe anche lui, come tutti, risposarsi?
L'Istat ci dice che in realtà, cioè nella pratica, l'alternativa per un prete non sarebbe tra celibato e matrimonio ma tra celibato e prete divorziato risposato. È fantateologia? Sì, perché nessuna Chiesa ammette al sacerdozio un divorziato risposato però, fare quattro conti con la realtà, ci fa capire che l'ipotesi della soluzione del matrimonio per i preti è, oggi come oggi, una "non soluzione", una soluzione che, statisticamente, riproporrebbe il problema qualche anno dopo, quando avverrebbe la probabile (statisticamente) separazione.
Non mi muovo a mio agio tra i numeri ma non bisogna essere degli esperti per sapere che in Italia la maggior parte dei matrimoni non arriva in fondo. Oltretutto, trattandosi del matrimonio di un prete, vanno escluse tutte le soluzioni "alternative" al matrimonio religioso, e cioè niente convivenza né matrimonio solo civile. Perché poi magari, io, a uno come Gianfranco - ripeto che astraggo dal caso concreto - non consiglierei di sposarsi, o per lo meno gli direi di non farlo subito visto che, anche secondo Papa Francesco, il matrimonio riparatore non è affatto una buona soluzione.
San Paolo diceva che era meglio "sposarsi che ardere" (1 Cor 7,9) ma questa cosa vale ancora in un Paese dove il matrimonio dura in media quindici anni? Il consiglio di san Paolo oggi diventerebbe: “meglio divorziare che ardere, meglio separarsi che ardere” e, a questo punto, non regge. Allora mettiamo uno stop al dibattito "matrimonio dei preti sì, matrimonio dei preti no", e puntiamo sull'essere persone risolte, che quando scelgono lo fanno in maniera matura e consapevole. Perché in fin dei conti è questo il segreto della vita felice.
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