A volte il calcio, pur con i suoi eccessi, ci regala la possibilità di riflettere sulle piccole cose della nostra vita. Nel momento in cui scrivo viviamo un paradosso: il licenziamento, per il secondo anno consecutivo, dell'allenatore che ha vinto lo scudetto, ovvero di Sarri. Strano destino.
La ragione è nota: se Maurizio Sarri - così come l'anno scorso Massimiliano Allegri - avesse vinto la Champions e non "solo" lo scudetto, nemmeno la dinamite l'avrebbe tolto dalla panchina della Juve. È sorprendente però che altri allenatori siano stati confermati: Pioli, l'allenatore del Milan, pur arrivando a grande distanza da Sarri, ha ottenuto una conferma del tutto inattesa e, direi, contro ogni previsione.
Mi sembra evidente che la parola cui guardare sia proprio questa: attesa.
Il senso dell'aver portato a termine una missione è principalmente legato alle nostre attese. È ovvio affermare che la Juventus non sia stata contenta di Sarri e che quindi quest'ultimo non sia stato all'altezza delle attese aziendali, ma la vera domanda è se Sarri, al di là del naturale disappunto iniziale, sia in grado di poter dire a se stesso se il suo lavoro ha soddisfatto le proprie attese.
È sbagliato convincersi di essere felici o infelici per un motivo oggettivo. Perché si è troppo grassi, con pochi soldi, o per una promozione mancata o ottenuta. Il Sabato del villaggio di Leopardi ci insegna che la vera gioia è nell'attesa di ciò che ci renderà felici. Ovvero, mettendo da parte l'aspetto negativo contenuto nella poesia, tutto dipende dal nostro cuore.
In quella poesia si racconta la felicità possibile di gente che immagina una domenica felice non perché vince la Champions o perché partirà per un'isola esotica ma perché è felice di poter trascorrere il tempo della domenica con chi ama.
Pensiamoci bene: la nostra felicità non dipende dai nostri risultati in sé stessi ma dal fatto che i nostri desideri siano più o meno corrispondenti alle nostre attese, coerenti con il "chi sono vero" della mia vita. Sarebbe bello che, in ragione di ciò, Sarri potesse dire di essere felice al di là del licenziamento. Glielo auguro perché è fondamentale per ciascuno di noi che la nostra identità dipenda in primo luogo dal nostro cuore.
La parola che entra in gioco qui è la parola vocazione: la dimensione che rende la vita di ciascuno di noi assolutamente unica. La vocazione di ciascuno di noi è quel qualcosa composto dai nostri tratti significativi che ci rendono particolari ed irripetibili. Se noi trovassimo la nostra vocazione saremmo talmente contenti, talmente appassionati, da essere naturalmente motivati a prescindere da tutto, da non farci toccare più di tanto dal risultato esterno, anche da quello "aziendale", che magari abbiamo fallito non per nostro demerito.
In fin dei conti quello della vocazione è il grande tema dell'educazione per i giovani: la ricerca delle proprie passioni, il riuscire ad identificarle, a dar loro un nome, a coltivarle, e a trovare nell'adempimento di essa ciascuno la propria motivazione, la felicità per essere riusciti a vivere la propria vocazione. Da lì scaturisce in modo automatico la motivazione che ci porta ad eccellere.